Vi sono dei nomi a cui siamo destinati a tornare. Nomi che affiorano nel ricordo e dalla pagina. Talenti così fermi e radicati che non indietreggiano nel tempo. Non possono perdersi in alcun modo alle nostre spalle. Scivolare tristemente nell’oblio. Luciana Frezza (1926-1992) è, senza ombra di dubbio, uno di quei poeti il cui segno non sbiadisce, non svapora nell’etere, ma si incunea (e questo fin dagli esordi nel 1958 con Cefalù e altre poesie) nel sottopelle del lettore. Prende dimora nelle profondità del suo passato. Del suo presente. Del suo futuro.
Risalendo continuamente dagli abissi, Frezza parla segretamente, quasi occultamente, all’anima di chi si pone in ascolto. Le offre ogni giorno il suo dono: perle di rara luminosità, ma nate drammaticamente al buio, attorno a un nucleo di piccola o grande verità. Una verità sottratta con caparbietà e determinazione al silenzio. Alle fauci ingorde del Tempo.
In occasione della ripubblicazione da parte di Graphe.it edizioni di Parabola sub, uscito la prima volta nel 1990 presso Empiria, abbiamo il piacere di poter fare o, meglio ancora, di poter affidare cinque domande a Giovanna e Natalia, figlie di Luciana Frezza; testimoni oculari (e di eccezione) di un talento profondo e mosso con cui continueremo a confrontarci a lungo.
Intervista a Giovanna e Natalia Lombardo, figlie di Luciana Frezza
Una famiglia, la vostra, dove la parola, il senso, il peso che porta, l’immagine che evoca doveva essere parte stessa dell’aria che respiravate. Vibrazione e colore anche nel silenzio. Nell’assenza di suoni. Cosa ha rappresentato per voi crescere, essere parte di quel mondo? Di quella casa così speciale con una madre poeta e traduttrice di colleghi come Mallarmé e Verlaine e un padre (Agostino Lombardo) che può essere considerato uno dei più grandi studiosi shakespeariani di tutto il nostro Novecento?
Natalia: Sicuramente la nostra famiglia è stata una fonte di stimoli culturali non necessariamente materializzati in letture o scritture, ma nel modo di guardare alle cose, di sentirle, nel gusto, nella stratificazione di un background di conoscenze depositato anche inconsciamente.
D’altra parte però non è stato facile, per il “peso” di questi genitori, anche se erano due intellettuali molto semplici nello stile di vita ed estranei alle cerchie salottiere, pur essendo noti e con i loro rapporti. Ma sono stati comunque difficili, sia per il carattere di ognuno, sia perché rappresentavano un modello che, per noi figlie, era difficile da raggiungere.
Giovanna: Effettivamente non è stato facile essere figlie di entrambi i nostri genitori per le ragioni che ha detto Natalia. Quanto a cercare di raggiungere il loro modello non credo di averci mai neanche provato.
Se non vi appare troppo invadente o indiscreto, potreste condividere con noi un ricordo, un’immagine, una breve istantanea che racchiuda, anche se solo sommariamente e con tutte le difficoltà del caso, l’essenza, la personalità di Luciana Frezza?
Natalia: Non è facile. Personalmente ricordo il suo modo di lavorare sulle bozze delle traduzioni, io che bambina guardavo affascinata i blocchi con le cancellature, gli appunti e le modifiche. E il primo “copia incolla” manuale, tagliando e spostando (con la Coccoina), interi paragrafi. Una visione quotidiana che ha molto influenzato la mia passione per la grafica, oltre che per la scrittura. Quindi direi la sua creatività, il suo essere spiritosa, oltre naturalmente alla sua sensibilità per l’uso e il suono della parola, alla ricchezza della sua cultura classica, alla conoscenza della metrica latina alla quale attingeva con naturalezza, tamburellando con le dita sulla scrivania per scandire gli endecasillabi.
Giovanna: Io sono grata a mia madre per avermi con pazienza aiutato a battere a macchina, perché io ero troppo lenta, la mia tesi di laurea in archeologia del Vicino Oriente, malgrado questa fosse per lei una materia totalmente estranea e lontana anni luce (o dovrei dire appunto millenni) dai suoi interessi e dal suo mondo e malgrado non riuscisse a condividere questa mia scelta.
Molti sono stati gli aggettivi, i termini usati nel corso degli anni per descrivere il talento, la poesia di vostra madre: pop femminile, barocco femminile e, ancora, una scrittura ovale, non rettilinea, non ellittica, ma sicuramente, aggiungiamo noi, contrassegnata da una grande, funambolesca modernità che dà e ruba il fiato. Voi quali parole usereste per riassumere la voce più profonda e autentica di Luciana Frezza? Il sigillo che apre e chiude il suo universo di donna e di poeta? Quel suo desiderio di portare costantemente, caparbiamente in salvo il passato, di sottrarlo quotidianamente all’oscurità, all’avanzare inarrestabile del buio. Un’esigenza sottolineata, del resto, anche nella prefazione di Comunione con il fuoco.
La sua era una visione della realtà filtrata da lenti poetiche. Qual è in effetti la poesia. Ogni particolare della vita passava attraverso questo processo alchemico, in un alambicco dove la parola cambiava forma e il senso si trasmutava in metafora. Un imbuto della vita dal quale distillava versi. Il passato, a volte dolce ma spesso doloroso, sembrava essere per lei una sorta di terreno nativo sul quale camminare e guardare il mondo, con gli occhi ciechi del poeta. Anzi, della poeta.
La Graphe.it edizioni ha appena pubblicato nella collana Le mancuspie la raccolta Parabola sub, uscita per la prima volta nel 1990, che porta obbligatoriamente, senza tappe intermedie, nelle grandi profondità, in un eterno sotto, dentro un innegabile oltre. Un oltre mosso e liquido in cui bisogna tuffarsi, scendere pericolosamente a picco come coraggiosi pescatori di perle. È in quegli abissi che bisogna scandagliare, perdersi per ritrovarsi in un sovvertimento salvifico che punti alla risalita. All’emersione finale. Alla propria “perla” di verità stretta in pugno. Vinta, sottratta all’oscurità sempre incombente. Qual è il vostro personale sentire nei confronti di questa opera che fu l’ultima pubblicata in vita da vostra madre?
Credo che nostra madre fosse perennemente in contatto con le (sue) grandi profondità. E in questo volume la sua poesia raggiunge un ermetismo lirico, nel profondo del mito e del sogno, nel passato più remoto e antropologico, quasi, per risalire poi in superficie, nell’attesa di un bus blu verso il mare…
Vorrei soffermarmi, se me lo consentite, su Requiem per Sylvia Plath, una poesia che non fa parte di Parabola sub, ma si fa portavoce e in qualche modo simbolo di un tragico, doloroso filo che sembra legare indissolubilmente molte voci poetiche femminili del Novecento, da Antonia Pozzi a Amelia Rosselli, da Charlotte Mew ad Anne Sexton, passando naturalmente per Sylvia Plath. Un filo tragico che forse può condurci a una verità unica anche se, per forza di cose, dolorosamente variegata? La poesia ha, dunque, un prezzo così elevato da pagare? Più è alta e più lo scotto sale vertiginosamente?
Forse sì. Drammaticamente per sé e per gli altri.
Foto | courtesy Giovanna e Natalia Lombardo
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