“Ce n’è cose belle al mondo disse il sorriso” (da La perfezione)
Quando ti laurei in letteratura, ad appena vent’anni, in un ateneo prestigioso come La Sapienza di Roma, discutendo una tesi su Eugenio Montale alla presenza di Giuseppe Ungaretti che ti fa da relatore, in qualche modo hai il destino “segnato”. È così che Luciana Frezza è diventata una poetessa, ma non solo: lo è diventata anche a furia di interpretare, per tradurli, gli splendidi versi dei poeti francesi della corrente simbolista dell'Ottocento; lo è diventata perché ce lo aveva dentro, il sacro fuoco della composizione e della scrittura.
Diverso è, poi, incastrare i pezzi del puzzle della propria vita: districarsi tra la vocazione poetica, la professione di traduttrice e il ruolo di moglie e madre. Se poi si aggiunge la malattia – una cecità incombente e la depressione – tutto è ancora più difficile.
Del suo duplice impegno di poetessa e traduttrice diceva: “È una sfida che mobilita la creatività e altre virtù come la pazienza e la vigilanza… Il pericolo cui bisogna prestare una costante attenzione è costituito dalle possibili intrusioni dell’Io: occorre tenerlo fuori ma non eliminarlo del tutto, perché il suo contributo d’esperienza vissuta può talvolta giovare, come giovano la fortuna e il caso, elementi da mettere in conto”.
Una “presenza discreta nella poesia italiana del Novecento”
Così la critica definiva Luciana Frezza quando sbocciò come poetessa. Era il 1958 ed esordiva con Cefalù e altre poesie, ripreso poi in La farfalla e la rosa del 1962, ma scriveva versi già durante gli anni dell’università: un periodo particolarmente felice e fecondo per lei, che intraprende anche collaborazioni con riviste letterarie quali Botteghe Oscure, Paragone, Carte segrete, L’immaginazione o L’Almanacco dello specchio.
Parallelamente “si accompagnava” ad amici del calibro di Laforgue, Baudelaire, Verlaine, Proust e Apollinaire, per citarne solo alcuni.
Tra i vari premi prestigiosi che otterrà per la sua attività poetica, ricordiamo nel 1984 il Premio Florida grazie al libro La tartaruga magica.
Dopo la sua tragica morte avvenuta nel 1992, esce postuma l’opera omnia delle sue poesie edite e inedite sotto il titolo di Comunione col fuoco (2013) che comprende la raccolta di poesie, anch’essa postuma, Agenda del 1994 e quella di prose Il disegno del 1996.
Dal quotidiano all’onirico: una poetica particolare
L’ars poetica di Luciana Frezza muove i suoi primi passi con le radici ben ancorate nella poesia italiana di ’800 e ’900, ma presto le sue ali spiccano il volo verso il surrealismo e il simbolismo francese da cui viene fortemente influenzata. “I contenitori di mistero anche se sono tuoi amici/ li prenderesti volentieri a sberle…” (da Negativi).
Comunque la sua matrice resta legata a temi intimi come quelli dell’infanzia, alle figure della famiglia, ai luoghi dell’anima come Roma, Milano o la Sicilia delle sue origini: attraverso la riflessione, spesso dolorosa quando personale, sulle relazioni interpersonali riesce anche a recuperare i miti archetipici ai quali far risalire indietro la ragione di ogni sofferenza. Sì, perché il dolore non può non essere un ingrediente fondamentale della poesia, come non manca mai nella vita: a questo arriva attraverso un profondo processo di ricerca della propria interiorità, senza aver paura di indagare le proprie ribellioni e le proprie paure.
Da questa riflessione sgorga l’amara consapevolezza che i rapporti interpersonali sono spesso e volentieri deludenti, nostro malgrado: “E io che così sola ho spostato/i massi più pesanti. Tutto succedeva perché ero donna/ma questo l’ho sempre saputo…”. E anche: “Raramente si coglie la seconda occasione/ anzi è la riconferma che non si poté non si volle/ il bene era lampante ma c’era nell’inerzia/ di lasciarlo sparire un piacere misto al dolore…” (da Self-service).
Nel suo linguaggio sempre misurato, mai violento, invece spesso allusivo e sempre eversivo, il fil rouge della poesia di Luciana Frezza è certamente la ricerca del significato della vita, che in definitiva è la ricerca del senso della poesia nelle esistenze come la sua in cui, queste due, coincidono e vivono l’una per l’altra.
Foto | Dino Ignani
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