L'haiku è un componimento poetico di origine incerta che diversi studiosi di fama fanno derivare dal primo verso di un renga ovvero da un’ antica creazione poetica a più mani. Nato come poesia popolare per la sua semplicità senza retorica e lontana da ogni enfatico frastuono, lo haiku penetra il vivo, racconta in soli tre versi l’istante eterno.
Nella sua raccolta poetica fatta di quarantadue haiku e nove tanka – parliamo naturalmente di Piccole cose, libro di Piergiovanni Bernardon pubblicato di recente da Graphe.it edizioni - la sua identificazione con la poesia giapponese scintilla sulla pagina come un improvviso guizzo di pesce a pelo d’acqua oppure, a tratti, come l’ombra veloce e assolata di un ramo appena sbocciato.
Intervista a Piergiovanni Bernardon
Cosa può dirci del suo amore per questa antica forma di poesia nipponica. Quando e come nato? Ne parla nel suo libro, ma noi vorremmo indugiare ancora su questo suo incontro fatale. Su questo ritrovarsi rapido e memorabile nel lontano haiku giapponese.
Qualcuno mi ha chiesto quando ho iniziato a scrivere haiku, qualcun altro il come e il perché, molti che cos’è. L’haiku è un antico, breve componimento giapponese, in italiano secondo lo schema 5 7 5, che si caratterizza per un’estrema attenzione alla natura.
Ho intrapreso la scrittura in questa breve forma perché il contenuto dipinge con tre sole pennellate la natura vera, semplice. Quella natura che possiamo ancora incontrare e che ci accompagna nelle nostre passeggiate o camminate. Colgo ispirazione soprattutto quando cammino, spesso sulle sterrate tra i campi dietro casa, ultimi scampoli di terra che lascia la città. Sul muretto della salitella di una di queste, alta sui binari della ferrovia che attraversa la campagna, c’è ancora una scritta a vernice nera: “L’anima del poeta si fa viaggiando”.
Ho cominciato quasi per caso: compongo quelle che osavo chiamare “poesie dall’adolescenza”. Ho continuato con incostanza, un po' per gioco un po' seriamente tanto da raccogliere quei “fogli sparsi” in due raccoltine: Il ritomitoritmo della macchina da scrivere e Piccole anime che regalavo ad alcuni amici e colleghi. Sentivo però l’esigenza di ridurre la visuale e il pensiero, affidarmi al momento e alla sua contemplazione e quasi casualmente ho incontrato l’haiku nella figura del maestro poeta errante Bashō (pseudonimo ispiratogli dal banano nel giardino della sua piccola casa che andrà a fuoco). Pur continuando a scrivere in versi liberi mi sono dedicato alla scrittura di questi tre brevi versi rigorosamente strutturati, a fine anni Ottanta.
Il desiderio di pubblicare lo nutrivo da tempo. L’idea di realizzarlo mi venne quando lessi il bellissimo libro Trentatré haiku di Bashō illustrati dall’artista argentino Ernesto Morales (in libreria per Lindau). Così, grazie al prezioso aiuto, suggerimenti e indicazioni dell’amica Luisa Sparavier, grafica e poetessa, ho contattato l’editore di Graphe.it, piccola, elegante prolifica casa editrice di Perugia, e Desideria Guicciardini nel 2014 premio Andersen come migliore illustratrice. Gli haiku sono piaciuti ed è nato il librino Piccole cose.
Nel libro ci sono anche nove Tanka. Il Tanka o “poesia breve” è un antico componimento poetico giapponese. Nato nel 400 d. C. non ha subito variazioni nel corso del tempo, La struttura è 5 7 5 7 7: a partire dal 1600 i primi tre versi divennero autonomi, poesia in sé, dando vita all’Haiku.
A volte succede che la visione si ampli, la concentrazione indugi e che quindi necessitino di una struttura estesa, cioè di cinque versi e trentuno sillabe.
Il musicista Arnold Schönberg nella sua introduzione alle Bagatelle di Webern dice che ogni sguardo si può sviluppare in un poema, ogni sospiro in un romanzo. Ma per racchiudere un romanzo in un solo gesto, una gioia in un solo respiro, ci vuole una concentrazione che elimini ogni sfogo sentimentale. Cosa ne pensa? Non è questo forse anche lo spirito dello haiku?
Non ho approfondito la conoscenza di Webern, anche se conosco le Sei bagatelle per quartetto d’archi (opera 9), i suoi componimenti per piano. Effettivamente la sua musica è sempre caratterizzata dalla brevità e concentrazione ed è stata paragonata agli haiku.
L’arte (in questo caso la poesia haiku) non potrebbe del resto essere anche vista come una sorta di sfondo che mette in risalto il silenzio che, in definitiva, rimane, anzi è la summa di tutte le possibilità? È d’accordo con tale definizione? Si ritrova in essa?
L’haiku è silenzio, silenzio ricco di suoni odori profumi colori.
Un’ultima domanda: tra i grandi poeti giapponesi del passato quale sente più vicino a sé? Quali ama di più? Bashō? Shiki? Altri?
Amo molto Bashō. Apprezzo Yosa Buson la cui attività principale fu la pittura che si riflette nei versi, nella sensibilità dell’immagine e in una visione della natura lontana dalla fede religiosa e dalla visione ascetica del suo maestro Bashō. Mi sento vicino a Naitō Jōsō allievo del poeta viandante e uomo di profonda spiritualità.
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