Arriva in libreria, per i tipi della Graphe.it, Odisseo e le onde dell’anima, quinto lavoro di Roberto Fantini, il quale oltre a scrivere si dedica oramai da anni alla pittura, è insegnante di filosofia e storia, e si occupa di diritti umani all’interno di Amnesty International.
Personalmente sono rimasta affascinata da questo suo Odisseo, che quasi mi appare come raccolta di preziosi aforismi, e vorrei approfondire l’argomento con l’autore per voi lettori di GraphoMania (e anche per me stessa, lo ammetto!).
Roberto, suppongo tutto nasca dalla vera Odissea e dall’impatto che ha avuto su di te il poema epico di Omero: è stato amore a prima vista, o il testo ha accompagnato il tuo maturare e ti ha affascinato più tardi, nel tempo della maturità?
All’origine ci sono vaghissime reminiscenze scolastiche, echi confusi mescolati fra loro. Poi, nel mio lavoro di insegnante, mi sono imbattuto nell’Odissea. La sua lettura integrale, dopo quella di tante altre opere, si è rivelata densa di suggestioni e di scoperte. Odisseo, allora, è entrato nella mia vita e, come è accaduto a tanti altri, la mia vita ha finito per annodarsi alla sua.
Non sempre, e lo dico da scrittrice, una recente pubblicazione rappresenta un recente lavoro: a quale periodo della tua vita appartiene questo testo?
Ho cominciato a scribacchiare le paginette che confluiranno in Odisseo qua e là, utilizzando taccuini che mi portavo in tasca, da un bar di piazza Navona alla spiaggia di Ostia. E le cose che scrivevo, di tanto in tanto, mi ritrovavo a leggerle, in riva al mare, a una giovane amica dai lunghi capelli, oppure, di notte, dopo devastanti partite a scacchi, al mio amico del cuore. Avevo cominciato la straordinaria avventura dell’insegnamento da qualche anno e vivevo immerso in letture appassionate, in un continuo vagabondare conoscitivo e sentimentale. Parliamo di quasi trent’anni orsono.
Nel tuo Odisseo, lo scorrere del tempo, il viaggio introspettivo, la morte come compagna della vita e il timore della vita stessa, sono temi che emergono a ogni pagina: secondo te, qual è la vera vulnerabilità dell’uomo?
L’uomo è l’animale più vulnerabile dell’intero universo. Questo lo ha reso il più corazzato e il più aggressivo. La sua naturale condizione di vulnerabilità lo ha indotto ad “attrezzarsi” per resistere agli attacchi del tempo e dell’intero cosmo. Siamo “gettati” nel vivere sprovvisti di tutto, in balìa di infinite forze, infinitamente più forti di noi. Sul piano fisico abbiamo finito, attraverso i millenni, per diventare quasi imbattibili (o, piuttosto, per illuderci di esserlo diventati). Ma dentro siamo rimasti fragilissimi, dominati da elementi a noi ignoti e immersi nell’ignoranza di ciò che siamo e del senso del nostro essere.
Che sei un poeta, lo si evince dalla grande capacità di usare le parole per raccontare l’intensità di un’emozione; nondimeno si scopre nel tuo “potere” descrittivo l’amore per l’immagine, per il contorno, per il colore: cosa ti ha spinto verso la pittura?
Anche la pittura è una cosa che viene da epoche lontane della mia vita, magari, chissà, da vite ancora più lontane. Dopo qualche tentativo adolescenziale, era finita in disparte, come dimenticata. Da una decina di anni, poi, è risbucata fuori, riempiendo di gioia e di colori un angolo della mia anima. Ovviamente, so benissimo di essere un dilettantaccio-autodidatta che si diverte a fare nuove esperienze (ma riuscendo forse a regalare anche agli altri qualche felice emozione), al di qua di qualsivoglia ambizione.
Mi colpisce particolarmente, tra le tante frasi che lasciano il segno, il modo suggestivo di parlare del “finto sonno del mare”. All’apparenza placido e ospitale, si rivela spesso pericolosamente umorale, intrattabile, mutevole d’intenti: non è forse così anche l’uomo, in fondo?
Ma sì, anche noi umani siamo dormienti che vegliano e non dormienti che non sanno vegliare… Scivoliamo continuamente da una condizione all’altra; siamo perennemente proiettati su piani diversi e anche contrapposti. Realtà e finzione si inseguono senza sosta e la ruota dell’essere e del non essere macina inesausta i nostri giorni. E l’imprevisto sempre può accadere. Sempre possono aprirsi inediti scenari, sempre possono spalancarsi le pareti del nostro “ego”. Imparare a vivere è, forse, proprio questo: diventare fratelli del mistero, dialogare con l’ignoto, nuotare nell’infinito, olimpicamente ridendo di tutte le nostre (umanissime) paure.
E per finire: che rapporto hai con l’inesorabile scorrere del tempo?
Il mio rapporto col tempo è un rapporto nel tempo. C’è stato un passato (quello di un certo Odisseo), in cui il fuggire del tempo mi procurava inquietudine. Ora, tutto mi appare più sottile, più impalpabile. Il tempo non mi appare più come un nemico che mi deruba, attimo per attimo, del mio futuro. Il tempo mi appare sempre più, giorno dopo giorno, come un fiume gentile che ci trascina su di sé. O, meglio, come un mare senza sponde che ci abbraccia e ci culla come fanciulli indifesi.
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