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Le poesie di Giorgio Manganelli: intervista alla figlia Lietta

Le poesie di Giorgio Manganelli: intervista alla figlia Lietta Le poesie di Giorgio Manganelli: intervista alla figlia Lietta
Le poesie di Giorgio Manganelli: intervista alla figlia Lietta

Difficile, anzi impossibile incanalare il talento di Giorgio Manganelli. Chiuderlo in una cornice di parole. Cristallizzarlo in uno spazio immutabile o in un tempo delimitato. Le visioni, le suggestioni che compongono il suo estro a più punte rifuggono dalla definizione posta solo a incasellare o a incastrare in un passe-partout di maniera.

Certo alla mente vengono subito incontro parole crepitanti come visionario, avanguardista, esploratore di mondi fondi e notturni, viaggiatore in solitaria di dimensioni criptiche e buie, ma una volta pronunciati ad alta voce questi termini, o questi non-luoghi, ci accorgiamo, in un battibaleno, di aver mancato, in un modo o nell’altro, il bersaglio. Di non aver fatto completamente centro.

L’enigma di Manganelli continua ancora una volta a sovrastarci. A replicarsi in una fuga infinita di specchi interi o spezzati. Di spettri volatili, di ombre policrome che salgono furiose dall’ignoto. Un ignoto su cui – incerti e soli dall’inizio alla fine – camminiamo. Prigionieri di un Nulla che, minacciandoci da ogni dove, diventa, tra un’immagine e un’evocazione, una giostra mortale.

Oggi, grazie all'intervista a Lietta Manganelli, abbiamo la possibilità di penetrante un po’ più a fondo in quel suo complesso universo, dove l’acqua non spegne mai il fuoco, ma brucia e divora più delle fiamme stesse.

 

Intervista a Lietta Manganelli sulle poesie di suo padre Giorgio

Di Giorgio Manganelli, vista la sua statura di scrittore e il suo ruolo fondamentale nell'avanguardia letteraria, si è scritto molto e non solo in Italia. Le sue opere tutte vaste, tutte vive di echi, intrise di suggestioni e visioni sono state oggetto, nel corso del tempo, di studi critici. Di profondi scandagliamenti. Di analisi attente. Perché, secondo lei, la poesia, dove il talento di suo padre non subisce cedimenti ma tiene splendidamente il passo, è rimasta invece meno nota? Lasciata quasi in un cono d'ombra?
Principalmente, credo, perché ha seguito il destino dei poeti e della poesia in generale, almeno in Italia. La poesia è difficile, la poesia non si legge e, soprattutto, la poesia non si vende. E non è un pensiero solo mio, ma me lo sono sentita dire ogni volta o quasi, in cui tentavo di far pubblicare le poesie di mio padre. Aggiungiamo poi anche il fatto che mio padre delle sue poesie non parlava praticamente mai con nessuno, al di là del suo ambiente familiare ristretto: madre e fidanzata, poi sua moglie. Io stessa ho scoperto le sue poesie, dopo la sua morte, aprendo una vecchia valigia di fibra. Valigia che conteneva, oltre le sue, anche un malloppo di poesie di sua madre.

 

L'ispirazione di Giorgio Manganelli muoveva da profondità siderali. Un famoso critico da casa nostra disse che le metamorfosi dell'inconscio venivano da suo padre trasferite, anche inconsapevolmente, nella sua mente ben organizzata. Era, dunque, la sua una forma di estrema salvezza? Una razionalizzazione visionaria della paura? Del pericolo sempre incombente sull'uomo? Una sorta di interruttore che scattava e da cui la sua fantasia, come un mare in ebollizione, ma oscuramente sotterraneo, muoveva di volta in volta per diventare arte? Creazione? Capolavoro? E, per l'appunto, come si diceva prima, ancora di salvezza?
Mio padre inizia ad avvicinarsi al mondo della poesia, da giovanissimo, leggendo e correggendo le poesie di sua madre, poesie che erano intrise di mitologia greca o di dolore, sofferenza e paura. Era quindi logico che quel tipo di ispirazione passasse anche nei primi tentativi poetici di mio padre, che, penso, inizialmente, come già sua madre vivesse la poesia come una zattera di salvataggio. Mio padre è sempre stato un bambino infelice, un adolescente infelice e poi un uomo ugualmente infelice.  Non solo e non tanto perché lui fosse, obiettivamente, infelice, ma in quanto l'uomo, essendo di natura “discenditiva” è naturalmente e necessariamente infelice.

 

Tra tutte le opere di Giorgio Manganelli (e sono veramente tante da Hilarotragoedia a La letteratura come menzogna, passando per Pinocchio: un libro parallelo e Notte tenebricosa) quale le è personalmente più cara o che sente in qualche modo più vicina?
Tutte le opere di mio padre mi sono ugualmente care, ma ce n'è una che amo particolarmente ed è Agli dei ulteriori, libro che io uso, se così si potesse dire, come gli ebrei usano La Bibbia: è sempre accanto al mio letto e quando io ho un dubbio, un dolore, qualcosa che richiede risposta, lo apro ad una pagina qualsiasi e, che ci crediate o no, la risposta arriva.

 

Possiamo chiederle di regalarci o meglio ancora di condividere con noi uno di quei momenti, rubati al tempo e impressi nella memoria, dove la persona si rivela, mostrandoci, quasi inconsapevolmente, l'essenza di sé?
Uno dei momenti che più mi hanno rivelato mio padre per quello che era realmente e non per quello che voleva presentarsi al mondo è stato il seguente: non ci vedevamo da anni, ci scrivevamo, ma non ci eravamo più incontrati, avevo diciassette anni quando ci siamo rivisti e il suo primo atto “da padre” è stato il portarmi dal suo psicanalista per scoprire se i suoi terrori avevano un senso, se anch'io avevo ereditato le sue paure, le sue angosce o se poteva smettere di sentirsi colpevole. Solo dopo, finalmente assolto, è riuscito a “sentirsi” padre a tutti gli effetti.

 

A proposito di essenze e personalità mi viene in mente il ritratto che Pietro Citati, recentemente scomparso, fece di suo padre in La malattia dell'infinito (pagg 515-518, Mondadori, 2008), nella sezione dedicata agli amici. Il loro primo incontro risaliva, se non ricordo male, al 1957 quando suo padre insegnava inglese a Roma. Insieme avrebbero poi lavorato per Garzanti. Si ricorda delle parole di Citati? La sua prima impressione fu quella di un uomo gentilissimo che si sentiva continuamente assediato da minacce e pericoli. Trova questa descrizione calzante? Cosa si sente di aggiungere?
Trovo le parole di Citati estremamente calzanti, evidentemente la sua sensibilità gli ha permesso di accorgersi dei pericoli che assediavano mio padre, non pericoli esterni, con quelli, bene o male puoi combattere, ma che nascevano e si ingigantivano dentro di lui. E trovo ancora più tragicamente calzante l'affermazione finale, sempre di Citati: “Morì di colpo, forse senza dolore, prostrato da una tensione che sarebbe stata insostenibile per chiunque”. Mi sento solo di aggiungere una speranza: vorrei che nell'aldilà quel mantra che sempre ripeteva – “Poi finalmente si muore!” – si sia, finalmente, realizzato, e che mio padre abbia trovato quella pace tanto inseguita e mai raggiunta in vita.

 


 

L'autore: Giorgio Podestà
Giorgio Podestà Giorgio Podestà, nato in Emilia, si occupa di moda, traduzioni e interpretariato. Dopo la laurea in Lettere Moderne e un diploma presso un istituto di moda e design, ha intrapreso la carriera di fashion blogger, interprete simultaneo e traduttore (tra gli scrittori tradotti in lingua inglese anche il Premio Strega Ferdinando Camon). Appassionato di letteratura italiana, inglese e americana del secolo scorso, ha sempre scritto poesie, annotandole su quadernini che conserva gelosamente. Con Graphe.it ha pubblicato la raccolta poetica «E fu il giorno in cui abbaiarono rose al tuo sguardo» e il saggio «Breve storia dei capelli rossi».

Guarda tutti gli articoli scritti da Giorgio Podestà

Un uomo pieno di morte

di Giorgio Manganelli

editore: Graphe.it

pagine: 64

La poesia come musa iniziatica e come rifugio dalla morte.

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