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I 5 fondamentali libri di Giorgio Manganelli

I 5 fondamentali libri di Giorgio Manganelli I 5 fondamentali libri di Giorgio Manganelli
I 5 fondamentali libri di Giorgio Manganelli

Trattandosi di autore d’avanguardia letteraria, dedito allo svuotamento di senso e di significato tutto a vantaggio della musicalità della lingua, i 5 migliori libri di Giorgio Manganelli, sconosciuti ai più, assumono sempre più le fattezze di vere e proprie chicche da riscoprire.

Tra nuove versioni di opere famose, traduzioni più o meno fedeli ai testi originali di classici e contemporanei, trattati, saggi, appunti o resoconti di viaggio e interviste, è certamente il racconto la forma più congeniale alla penna di questo scrittore, che lo arricchisce, però, di un elemento imprescindibile quanto personale: la visione, perché la letteratura non può assolutamente in alcun modo rendere conto della realtà.

I libri di Giorgio Manganelli che devi conoscere

Ecco la nostra selezione di libri di Giorgio Manganelli che dovresti leggere per conoscere meglio questo geniale scrittore.

Hilarotragoedia (1964)

Con quest’opera, a 42 anni suonati, Manganelli fa molto parlare di sé e di fatto inizia a essere indicato come un letterato. Ha da poco fatto ingresso nel Gruppo di avanguardisti 63.

Questa la sua definizione del libro: “un trattatello teorico-pratico” sulla morte, che nel panorama letterario dei manuali fai-da-te mancava, tanto che l’autore ha pensato bene di rimediare. Si parte da un presupposto: che l’uomo abbia natura “discenditiva”, cioè nella sua esistenza non possa che scendere una china e non risalirla. La morte, dunque, viene interpretata come un viaggio di discesa nell’Ade tra deliri onirici, trovate grottesche e vere pagine di esilarante humor nero. Questa vocazione dell’uomo alla discesa, infatti, si classifica in base a un criterio fatto di numero di angosce e addii ai quali vengono rispettivamente dedicati un trattato e un inserto a parte in chiusura di questa “favola iraconda” ma sempre attuale.

La letteratura come menzogna (1967)

Quest’opera se da una parte costituisce una sorta di manifesto del pensiero di Giorgio Manganelli che vede la letteratura come falsità, fiction impossibilitata per sua stessa natura a riprodurre il reale, dall’altro è una sorta di esaltazione della letteratura stessa o almeno di quegli autori che si possono considerare esponenti della “letteratura assoluta”. Cosa s’intende con questa definizione? È presto detto: in un’epoca in cui sulle ceneri dell’avanguardia è nata la neoavanguardia, si ripercorrono le pagine di una serie di opere di Carroll, Stevenson o Nabokov – per citarne solo alcuni – in cui è facilmente riscontrabile, e perciò dimostrabile, il teorema della falsità della letteratura stessa, finalmente espresso in forma saggistica.

Pinocchio: un libro parallelo (1977)

Forte delle suggestioni psicanalitiche derivanti dal suo lunghissimo rapporto con l’analisi junghiana, Manganelli rilegge in maniera originale e interessante il capolavoro di Collodi, tirandone fuori una versione assai più cupa, ma allo stesso tempo umoristica, intrisa di humor nero, s’intende.

Mosso da “una vocazione metamorfica e insieme teatrale”, il suo Pinocchio è enigmatico, pieno di simboli ma anche delle loro subitanee rivelazioni, è un libro notturno in cui per notte si vuole dire quella eterna, della morte, della fine e dell’assoluto. E in effetti la chiusura del libro nel libro è diversa dall’originale: per Manganelli il bambino in carne e ossa non “sconfigge” né soppianta il burattino, ma è condannato a viverci accanto e da essere da questo “eternamente sfidato”.

Esiste Ascoli Piceno?

La risposta a questo pressante interrogativo, Manganelli la dà in un libercolo di una cinquantina di pagine – più le 10 cartoline illustrate dall’artista Tullio Pericoli, che nella provincia marchigiana ha a lungo vissuto – prodotto quando nei primi anni Ottanta una rivista locale gli chiese di scrivere un articolo sulla città. Ebbene, che sia solo una “dolce allucinazione”, oppure solamente “una tradizione”, in questo gioco delle parti (invertite) Manganelli di fatto disegna forse il ritratto più amorevole che sia mai stato fatto di una città “di confine” con i suoi angoli bui, i suoi personaggi banalmente stravaganti e le molteplici attività che ne scandiscono il ritmo di vita.

Improvvisi per macchine da scrivere (1989)

Solo uno scrittore multiforme e anche estremamente geniale come Manganelli può partorire un’opera come questa, in cui sono raccolte riflessioni semiserie che prendono spunto dalla cronaca, e a volte dai risvolti più piccoli e bislacchi di questa.

Con un tono sempre ironico che spesso indulge alla malinconia di un tempo che fu, dunque, si discetta su tutto: dalle rivendicazioni sindacali dei sagrestani alla scienza che parte all’attacco della parapsicologia fino, addirittura, al banale riproporsi del provvedimento anti-smog delle targhe alterne. Ma solo chi è davvero grande può parlarne in maniera originale, improvvisando e capovolgendo il senso comune, fino a far assumere alla quotidianità più becera una dimensione quasi metafisica.

Foto | WikiCommons

L'autore: Roberta Barbi
Roberta Barbi Roberta Barbi è nata e vive a Roma da 40 anni; da qualche anno in meno assieme al marito Paolo e ai figli, ancora piccoli, Irene e Stefano. Laureata in comunicazione e giornalista professionista appassionata di cucina, fotografia e viaggi, si è ritrovata da un po’ a lavorare per i media vaticani: attualmente è autrice e conduttrice de “I Cellanti”, un programma di approfondimento sul mondo del carcere in onda su Radio Vaticana Italia. Nel tempo libero (pochissimo) si diletta a scrivere racconti e si dedica alla lettura, al canto e al cake design; sempre più raramente allo shopping, ormai rigorosamente on line.

Guarda tutti gli articoli scritti da Roberta Barbi

Notte tenebricosa

di Giorgio Manganelli

editore: Graphe.it

pagine: 162

Una lunga riflessione sulla notte e un viaggio alla scoperta di Giorgio Manganelli: «Il dittico raccolto in questo volume è molto più di un invito alla lettura: un ritrovamento e una testimonianza, certo, ma forse anche un pegno che viene restituito». (Alessandro Zaccuri)

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