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Carlo Collodi, Lorenzini per l’anagrafe

Carlo Collodi, Lorenzini per l’anagrafe Carlo Collodi, Lorenzini per l’anagrafe
Carlo Collodi, Lorenzini per l’anagrafe

Credo di non svelare nessun arcano segreto se inizio questo pezzo dicendo che il nome di uno dei più grandi scrittori italiani, autore di una delle opere più vendute di sempre (anche se una stima attendibile è impossibile essendo decaduto il diritto d’autore nel 1940), tradotta in oltre 240 lingue, in realtà è uno pseudonimo, in cui il cognome originale è stato sostituito dal toponimo del paese d’origine di sua madre, allora in provincia di Lucca, oggi invece entro i confini di Pistoia: Carlo Collodi, in realtà, si chiamava Carlo Lorenzini.

 

Una promessa mancata della critica musicale

Avviato allo studio grazie alla generosità dei marchesi Ginori, presso i quali i suoi genitori prestavano servizio, Carlo a un certo punto deve mettersi a lavorare e lo fa nella libreria Patti di Firenze, impiego che certamente non lo lascia indifferente. La sua perizia, infatti, non passa inosservata e così nel 1845, a soli 19 anni, viene autorizzato a leggere i libri messi all’indice dalla Chiesa.

In seguito inizia a lavorare per La Rivista di Firenze, in cui l’intellettuale Collodi scrive di tutte le arti del suo tempo, dal teatro alla poesia fino al romanzo, trasmettendo molte tematiche critiche che saranno fondamentali per la formazione della Scapigliatura milanese.

Nel 1868, su invito del Ministero della Pubblica istruzione, entra nella redazione di un nuovo dizionario della lingua parlata e questa esperienza gli serve come trampolino di lancio per diventare il traduttore italiano delle principali fiabe in circolazione, come quelle del francese Perrault.

 

Le avventure di Pinocchio, un capolavoro senza età

Anticipato dalle vicende di Giannettino e Minuzzolo, un ragazzino che irride i borghesi dell’epoca impegnati nello strenuo tentativo di insegnargli le buone maniere, tra il 1881 e il 1882 esce a puntate La storia di un burattino, poi pubblicata in unico volume l’anno successivo con il titolo definitivo Le avventure di Pinocchio, storia di un burattino.

Icona universale e metafora della condizione umana, ambientata nei territori tra Firenze e Lucca, l’opera definita dal suo stesso autore “una bambinata”, inizialmente terminava al capitolo 15, quando, cioè, Pinocchio muore impiccato. Una specie di rivolta popolare del pubblico infantile spinse il Collodi a riaprire la storia fino a donarle il noto finale pieno di speranza e possibilità di redenzione in cui il burattino riesce a trasformarsi in un bambino vero.

 

Pedagogia e dintorni

Forse qualcuno storcerà il naso, ma non è del tutto esatto etichettare un’opera complessa come Pinocchio esclusivamente come esemplare di letteratura per l’infanzia.

Certo, si tratta in parte di un romanzo di formazione, ma c’è molto di più: c’è una critica, abbastanza feroce, ai traumi che portava con sé la rivoluzione industriale, l’eredità evidente del romanzo gotico con molti dei suoi elementi più terrificanti mescolati alle favole della tradizionale popolare, l’occhio strizzato al romanzo picaresco nello stile e nelle tematiche, una sperimentazione spinta del linguaggio con ingenti scivoloni nel dialetto ad effetto parodistico, oltre a una buona dose di verismo di stampo verghiano, che era in definitiva la moda letteraria dell’epoca.

C’è da considerare, inoltre, che allora nessuno scrittore o quasi componeva espressamente per la gioventù, piuttosto scriveva legato dall’ideale pedagogico che la sua sensibilità gli suggeriva, rischiando, a volte di più a volte di meno, di restarvi invischiato per sempre.

Insomma: forse è il caso di spostare Pinocchio dallo scaffale dei libri per ragazzi a quello delle opere senza tempo, allegorie di una società eternamente contemporanea, e forse è il caso di rileggerlo ancora, magari con gli occhi della maturità.

Foto | Elaborazione grafica a cura di Eugenia Paffile a partire da una foto di Collodi (via WikiCommons)

L'autore: Roberta Barbi
Roberta Barbi Roberta Barbi è nata e vive a Roma da 40 anni; da qualche anno in meno assieme al marito Paolo e ai figli, ancora piccoli, Irene e Stefano. Laureata in comunicazione e giornalista professionista appassionata di cucina, fotografia e viaggi, si è ritrovata da un po’ a lavorare per i media vaticani: attualmente è autrice e conduttrice de “I Cellanti”, un programma di approfondimento sul mondo del carcere in onda su Radio Vaticana Italia. Nel tempo libero (pochissimo) si diletta a scrivere racconti e si dedica alla lettura, al canto e al cake design; sempre più raramente allo shopping, ormai rigorosamente on line.

Guarda tutti gli articoli scritti da Roberta Barbi

Racconti di Natale

editore: Graphe.it

pagine: 48

Due racconti, due Natali diversi distanti negli anni.

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