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Ignacio Peyró racconta la sua “Anglofilia” tra paradossi e nostalgia

Ignacio Peyró racconta la sua “Anglofilia” tra paradossi e nostalgia Ignacio Peyró racconta la sua “Anglofilia” tra paradossi e nostalgia
Ignacio Peyró racconta la sua “Anglofilia” tra paradossi e nostalgia

Ignacio Peyró ha dedicato gran parte della sua vita professionale al dialogo tra culture, e nel suo Anglofilia. Piccolo glossario sentimentale della cultura inglese (Graphe.it edizioni) riesce a condensare – con ironia e intelligenza – la fascinazione europea, e soprattutto continentale, verso l’universo britannico. Un glossario fatto di cinquanta voci che racconta la cultura inglese tanto nei suoi simboli riconoscibili quanto nelle sue contraddizioni più sottili.

Abbiamo intervistato l’autore per capire meglio come è nato questo progetto, il rapporto tra Continente e Inghilterra, e cosa resta oggi di quella raffinata anglofilia che per decenni ha sedotto milioni di lettori.

Intervista a Ignacio Peyró, autore di Anglofilia

Anglofilia nasce come Pompa y circunstancia, un libro di oltre mille pagine. Come è stato accolto il libro in Spagna? Ci sono stati feedback particolari che ti hanno colpito?
Avevo trent’anni, volevo scrivere, pensavo di essere uno scrittore ma non avevo pubblicato nulla a mio nome, anche se avevo scritto moltissimo per altri: persino storie di giardinaggio, libri su Goya, un'infinità di cose. Ma niente di mio. Andai dal mio editore spagnolo, Fórcola, con un elenco di temi. Scelse il dizionario di cultura inglese. Mi ci sono dedicato per vari anni, in modo molto libero e molto solitario. Tornai con più di mille pagine e, nonostante tutto, decise di pubblicarle. In libreria il testo è giunto oltre dieci anni fa e il libro, oggi, è tuttora vivo, anzi, ho ancora voglia di ampliarlo e perfezionarlo… È un libro che sembra essersi conquistato un suo spazio tra i lettori; è alla sesta edizione e non è stato dimenticato.

L’idea di Anglofilia nasce più da una passione personale o da una constatazione culturale più ampia sulla fascinazione per l’Inghilterra?

Più che l’Inghilterra in sé, ciò che mi strega è la fascinazione che incarna l’anglofilia e il dialogo tra il Continente e quel particolare arcipelago che aveva così poche possibilità di successo e che ha saputo darci così tanto: una certa idea di libertà e tolleranza, istituzioni, umorismo, una letteratura eccezionale.

Nel libro parli di paradossi inglesi: la monarchia più venerata e un pragmatismo profondamente democratico, il senso della tradizione e l’inventiva industriale. C’è un paradosso che ti affascina più di altri?

Un vero genio britannico è stato saper mescolare la modernità senza distogliere lo sguardo dalla tradizione. Hanno anche saputo rendere britanniche tantissime cose straniere: molti elementi che oggi ci sembrano tipicamente inglesi (l’educazione, l’architettura, gli interni) vengono in realtà dall’Italia, per esempio. Ma ciò che trovo più ammaliante è come, in un paese che nell’Ottocento era il più avanzato e industrializzato del mondo, sia nata una reazione medievalista – con Ruskin, Morris, il Movimento di Oxford e altri – che ha dettato il tono estetico e perfino filosofico per molti anni a venire.

Nel libro tratti anche il declino di certi ideali britannici: dalle public schools allo stiff upper lip. Pensi che questo declino sia irreversibile?

Il libro è anche un canto a un passato mitizzato: la nostalgia ha sempre qualcosa di spettrale. La Spagna non è solo flamenco e sherry, e il Regno Unito non è solo grandi case di campagna con Land Rover. Ma curiosamente, alcuni simboli dell’“inglesità” – club, pub, case, campagna – sono oggi più apprezzati che mai, in parte perché tendiamo ad amare proprio ciò che sta scomparendo.

Dopo Brexit, il Regno Unito sembra più isolato rispetto al continente. Pensi che questo cambi la percezione dell’Inghilterra agli occhi degli europei?

La Brexit è stata il peggior affare d’immagine – e probabilmente non solo d’immagine – che il Regno Unito abbia fatto da secoli. Il ridimensionamento è stato fulminante.

In un mondo sempre più globalizzato e digitalizzato, ha ancora senso parlare di anglofilia? È un fenomeno destinato a sopravvivere?

L’ideale liberale incarnato dall’anglofilia è in ritirata in tutto il mondo. Forse, ironicamente, proprio per questo potrebbe rinascere. Ma oggi la moderazione, la misura, la temperanza, il rispetto per la tradizione istituzionale, per la parola… sono in declino. Non rappresentano solo nostalgia, ma una nostalgia quasi ridicola. Tuttavia, ci sarà sempre una forma di resistenza, anche se indosserà un abito di tweed.

Nel libro citi la “contraddizione inglese” tra riserbo ed eccentricità. Se dovessi descrivere l’Inghilterra di oggi in una sola parola, quale sceglieresti?

È cambiata in molti aspetti. Per esempio, in politica: un tempo aborrivano referendum e coalizioni, eppure li hanno avuti entrambi di recente. Il partito Tory raramente ha vissuto momenti più bassi, pur essendo stato quello che ha dato – che piaccia o no – un certo tono nazionale. Per il resto, è ancora un paese di libertà e tolleranza, oggi forse ancor più variegato. E la nostalgia per un’Inghilterra eterna – che ora sembra esistere – in realtà esiste da molto tempo. Sembra però che una magnifica ambiguità inglese si sia persa con lo strappo dall’Unione Europea e il consolidamento di un nazionalismo inglese, da sempre latente ma raramente così aggressivo e autolesionista, o almeno così diffuso.

 

La foto di Ignacio Peyró è di Daniel Ibáñez

Anglofilia

Piccolo glossario sentimentale della cultura inglese

di Ignacio Peyró

editore: Graphe.it

pagine: 414

Un viaggio colto e ironico nella cultura inglese, tra aneddoti, miti e curiosità, per chi ha sempre creduto che, in fondo, “se è inglese, è meglio”.

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