Ci sono narrazioni che vanno oltre il racconto lineare, che non cercano di spiegare, ma di evocare. Storie che non si leggono soltanto: si ascoltano con l’anima. Immagini che non si guardano: si sentono, come battiti profondi sotto la pelle. I matti di Sànpert appartiene a questa categoria rara e preziosa.
Con questo volume si inaugura un nuovo genere: il graphic soul. Non un fumetto, non un libro di poesie illustrato, ma un progetto ibrido e potente che fonde parola e disegno, corpo e voce, filosofia e arte. A firmarlo è Sànpert, un nome collettivo e simbolico nato dalla crasi dei cognomi di Lucilio Santoni e Alessandro Pertosa. Ma più che una fusione, è una comunione creativa: due sensibilità che scrivono all’unisono, fondendo visioni e linguaggi in un unico respiro narrativo.
Le storie che non si leggono, si ascoltano con l’anima
Ne I matti di Sànpert, i protagonisti sono figure marginali, erranti, poeticamente dissonanti. Non eroi e nemmeno antieroi: anime vive, dolenti, inquiete. “Matti” in senso radicale, nel senso più vero e umano del termine. Come ricordano Freud e Lacan, la normalità non è mai il punto di partenza per comprendere la vita. E infatti qui il centro è il margine, il senso nasce dal frammento.
Il libro è anche un oggetto materico, pensato per offrire un’esperienza multisensoriale: è stampato su carte diverse, recuperate da scarti tipografici. Una scelta concreta ma anche simbolica: ciò che è stato rifiutato si fa fondamento di bellezza e resistenza. Scrivere sullo scarto è, in questo caso, un atto poetico, quasi mistico. Un gesto d’amore per ciò che è fragile e dimenticato.
Come editore, ho sentito fin da subito che I matti di Sànpert non era un libro come gli altri. È un’opera che chiede tempo, attenzione, ascolto. Non propone verità, ma domande. Non cerca risposte, ma risonanze. È un testo che interroga chi legge, e lo fa senza compromessi.
Chi cerca una narrazione lineare, rassicurante, non la troverà qui. Chi è disposto a guardare il dolore negli occhi e a scorgervi una forma di bellezza indicibile, invece sì. E troverà, forse, anche un sussulto del pensiero. Quello che Teilhard de Chardin inseguiva nel mezzo della guerra. Quello che, oggi, troppo spesso rischiamo di dimenticare.
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