Considerato comunemente un esponente della cosiddetta Seconda Scapigliatura, Ferdinando Fontana, autore milanese poi esiliato in Svizzera, apparteneva in realtà alla terza e ultima fase del movimento, quella che aveva abbandonato l’ardore letterario per abbracciare la vocazione politica. Possiamo definirlo un eclettico, dal momento che scrisse libretti e opere anche in dialetto, lavorò come giornalista e come traduttore.
La vita di Ferdinando Fontana
Fontana era quel che si dice un figlio d’arte – suo padre Carlo era un pittore – ma rimasto orfano molto presto e dovendo provvedere alle necessità delle due sorelle minori, per un po’ mise da parte i sogni letterari per esercitare qualsiasi mestiere gli capitasse, dal merciaiolo al magazziniere fino all’avventizio, che è in pratica il termine desueto con cui si definisce un precario.
La svolta arriva quando viene assunto al Corriere di Milano come correttore di bozze. Da lì al giornalismo fino alla letteratura i passi saranno brevi e progressivi.
Durante gli anni da giornalista si avvicina al socialismo tanto da partecipare, nel 1898, ai moti milanesi e a causa delle repressioni che ne seguirono, dovrà rifugiarsi in Svizzera, Paese in cui in pratica vivrà fino alla morte. Per un certo periodo soggiornò a Casa Camuzzi, dove qualche anno dopo avrebbe vissuto Hermann Hesse, poi, grazie a un provvedimento di clemenza, per un breve periodo tornò in Italia per poi stabilirsi definitivamente nel Canton Ticino, dove partecipò attivamente alla vita letteraria e politica locale.
Le opere
L’esordio poetico di Ferdinando Fontana si fa risalire al 1875 quando, in occasione della visita di Guglielmo I, scrisse un inno in strofe di settenari dal titolo Il Rebecchino, in cui mostrava il proprio gusto per l’improvvisazione che caratterizzò tutta la sua produzione sia in prosa che in poesia. Nonostante l’appartenenza alla Scapigliatura, di fatto più che un poeta bohémien fu un poeta impegnato politicamente: del 1876 è Socialismo. Epistola a Enrico Bignami, un lungo carme che rappresenta il suo manifesto di adesione al socialismo.
Più famosi certamente i suoi componimenti per il teatro in lingua lombarda: La Pina madamin: vaudeville e La statôa del sciôr Incioda, in cui si ravvisa qualche elemento di contenuta satira politica. Nonostante si tratti di personaggi un tantino stereotipati, di trame più che prevedibili e di prosa più vicina a quella giornalistica che a quella letteraria, comunque questi due lavori sono entrati a far parte di diritto del repertorio del teatro milanese classico interpretato dal comico Edoardo Ferravilla, massimo esponente del genere.
Dell’ultimo periodo, invece, si segnala un Inno al Canton Ticino, vera e propria lode alla terra che lo aveva praticamente adottato.
Infine, Fontana scrisse anche libretti operistici per Franchetti e addirittura Le Villi ed Edgar per Puccini, mentre tradusse in italiano operette quali La vedova allegra e Il conte di Lussemburgo di Lehár.
Foto | Al Pereira, Public domain, da Wikimedia Commons
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