Paola Biribanti, autrice del saggio Aguzzare la vista. I maestri del cartellonismo nei classici del cinema italiano, ci racconta il suo affascinante percorso di ricerca sui manifesti pubblicitari che, nei decenni passati, hanno impreziosito i film italiani. Unendo il mondo dell'arte grafica alla storia del cinema, Paola ci guida alla scoperta di queste opere d’arte nascoste, spesso invisibili agli occhi del pubblico contemporaneo. Attraverso la sua meticolosa analisi, emerge un quadro inedito della comunicazione visiva e del contesto socio-culturale che ha segnato la nostra memoria collettiva.
Intervista a Paola Biribanti
Come è nato questo progetto? Quando hai iniziato a notare i manifesti pubblicitari nei classici del cinema italiano?
Il progetto è nato in modo imprevisto, non premeditato. Alcuni anni fa, durante la visione di un vecchio film di Camillo Mastrocinque, ho notato sullo sfondo un famosissimo manifesto pubblicitario di Gino Boccasile, un cartellonista che ben conosco, avendogli dedicato anni di studio. “Come ho scovato Boccasile, magari nei vecchi film posso trovare anche altri grandi della grafica pubblicitaria del passato”, ho pensato. Quindi, ho iniziato a vedere i vecchi film italiani con uno sguardo diverso, concentrato non solo sulla trama e sui protagonisti, ma anche sugli sfondi, sulla scenografia, sui dettagli.
Hai visionato molti film per individuare i cartelloni pubblicitari? Qual è stato il processo di selezione e analisi delle immagini?
Ho visto centinaia di film. Alcuni per la prima volta, altri sono andata a riguardarli, spesso sorprendendomi della presenza di molti, celebri manifesti, che alla prima visione mi erano evidentemente sfuggiti. Decidere quali immagini selezionare non è stato facile. Alla fine, ho optato per i casi più “eclatanti”, ossia ho scelto i frame in cui l’inquadratura dei manifesti è palesemente non casuale, e quelli che mostrano manifesti tanto famosi da essere familiari anche a chi non è un esperto di cartellonismo o di illustrazione.
I manifesti pubblicitari sono spesso considerati un’arte “minore”. Come pensi che il loro ruolo cambi quando li vediamo inseriti in un film?
Cambia nel senso che ne possiamo constatare concretamente l’impatto, la funzione di espediente commerciale. La collocazione di un manifesto sullo sfondo della scena madre di un film o accanto all’inquadratura ravvicinata del viso di una star dà la misura della forza del manifesto come strumento di persuasione di massa.
Molti di questi cartelloni erano forme precoci di pubblicità occulta. Pensi che i registi li inserissero consapevolmente o fossero solo parte del paesaggio urbano?
È difficile pensare che si trattasse di inquadrature “casuali”, vista l’insistenza con cui, in molte occasioni, la telecamera si soffermava su determinati manifesti. In altri casi, specie riguardo ai film dei primi anni Trenta, quando in Italia il cinema sonoro era appena arrivato, esistono dichiarazioni di registi, in cui veniva ammesso candidamente che la pubblicità era servita a coprire i costi di produzione. Ci sono, poi, i casi in cui non è semplice stabilire con sicurezza se si trattasse di pubblicità contrattata o di mera componente scenografica.
C’è stato un film in cui la presenza dei manifesti ha cambiato la tua percezione dell’opera filmica?
Roma, ora 11 di Giuseppe De Santis, un caposaldo del Neorealismo italiano, nella cui prima metà compare insistentemente il manifesto Riccadonna di Gino Boccasile. L’espressione gioiosa e l’abito sontuoso della donna raffigurata stridono fortemente con la drammaticità della vicenda narrata nel film e con la mestizia delle sue protagoniste. Mi sono interrogata a lungo sul perché della presenza di quel manifesto. Alla fine, ho ipotizzato che De Santis lo avesse scelto, al di là del suo risvolto economico, proprio per il contrasto che si veniva a creare tra la miseria post bellica al centro della storia e l’agiatezza della donna disegnata da Boccasile. Una condizione che le giovani protagoniste del film potevano solo sognare.
La foto di Paola Biribanti è di Paolo Del Bianco
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