Sono ormai dieci anni che “milito” in AGeDo. Ho scelto di proposito questo verbo di altri tempi che richiama impegni di partecipazione attiva per una causa, perché questo è per me ora l’attività nell’associazione.
Il mio coinvolgimento nella difesa dei diritti delle persone LGBTQ+ non riguarda più solo mio figlio, ormai trentenne, che vive la sua vita con un compagno e ha un lavoro, ma tutte le persone di questo universo, siano esse ragazze e ragazzi, giovani o meno, che, frastornati, acquisiscono la consapevolezza di essere considerati diversi; oppure genitori che, come me, si sono trovati a fare i conti con questa realtà e con se stessi, scoprendo insospettabili e inconfessabili pregiudizi.
La mia attività con gli uni e con gli altri è da genitore che ha come bagaglio la propria esperienza.
Cerco di trasmettere fiducia nei più giovani facendo capire loro di non essere sbagliati, invitandoli a esplorare la propria natura nella consapevolezza del loro percorso di crescita.
Ai loro amici etero cerco di far capire l’importanza dell’amicizia e della solidarietà e di quanto il loro comportamento possa condizionare nel bene o nel male le vite dei loro amici LGBTQ+.
Con i genitori ho a disposizione una leva potente: l’amore per i propri figli che aiuta a superare qualsiasi ostacolo.
La mia esperienza è certamente parziale, costruita sulle mie vicende personali, ma lo sguardo e la possibilità di dare una mano agli altri si è negli anni allargata proprio grazie al coinvolgimento personale in situazioni diverse, sia da parte dei figli, sia da parte dei genitori.
Sono molto grata ai soci AGedO, anche a quelli lontani, con cui il confronto è sempre fonte di continuo arricchimento.
Sono grata ai nuovi genitori, soprattutto i più giovani, che portano punti di vista e prospettive diverse da quelle della mia generazione; anche se immutato, rimane il frastornamento e la preoccupazione, che rende ancora necessario e attuale il lavoro di AGedO. Purtroppo.
Ma sono soprattutto grata alle ragazze e ai ragazzi delle realtà associative che mi circondano e con cui collaboro: nel mio percorso di apprendimento, iniziato anni fa, il confronto è prezioso. Da loro continuo a imparare moltissimo perché mi insegnano a guardare con occhi nuovi la realtà che si presenta in costante evoluzione.
Questi dieci anni mi hanno cambiata; sono una persona diversa, una persona che mi piace!, che guarda al passato con occhio critico, ma è in grado di mettere sempre in discussione il presente.
A questo proposito vorrei raccontare un piccolo episodio in cui sono stata coinvolta e che mi ha portato a riflettere su me stessa.
Una sera ho partecipato a un’iniziativa promossa da un gruppo di psicologi a noi vicini. Dopo la proiezione di un film c’è stata la drammatizzazione di un racconto di vita di un ragazzo. Si trattava di un episodio sul rapporto genitori/figlio al momento del coming out. Essendo io l’unica persona presente di una certa età, mi è stato chiesto di interpretare il ruolo della madre in cui dovevo ripetere, immedesimandomi, le parole riferite nel racconto del ragazzo. A memoria, più o meno, le frasi erano: “Vedrai che cambierai opinione, sei ancora troppo giovane per capire, devi ancora maturare”, e cose simili.
Ho recitato quelle frasi con un certo disagio, riferendo alla fine, nella riflessione collettiva, che io non avrei detto quelle parole, a me estranee.
In una riflessione successiva ho capito che la vera causa del disagio derivava dal fatto che io quelle parole, se non le ho dette a mio figlio, le ho sicuramente pensate. Io sono stata quella persona. L’autoassoluzione è stata una posizione di comodo di cui mi sono vergognata.
Angela
Foto | morn in japan via Pixabay
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