Una favola di serata

Una favola di serata Una favola di serata
Una favola di serata

C’era una volta una palestra, bella sempre! In inverno e in primavera, in estate e in autunno. Il pavimento sembrava fatto d’oro ed era incorniciato da macchie di colore: fiori e piante che accoglievano tutti i presenti sempre carichi di germogli. Il luogo ti dava l’impressione di essere in una foresta e, in questa selva, si aggirava tutt’intorno il Buddha! Faceva delle gioiose chiacchierate, il Buddha: parlava con gli allievi più piccoli, con quelli più grandi e conversava amabilmente con le discepole più anziane; per ognuno di loro aveva imparato una lingua diversa.

Intorno l’aria, profumava di candele e d’incenso e questo effluvio esercitava un incantesimo speciale su tutti loro. E come erano belle e luminose le pareti: in una di esse era incastonato il Tao, che aveva il compito di insegnare, a grandi e piccini, la via della natura. Ma il Tao non era il solo abitante del muro colorato. Macché! Alla sua sinistra c’era il drago e alla sua destra la tigre: insieme dispensavano protezione, e nessuno dei due poteva vivere senza l’altro.

La palestra Wudang Kung Fu, era così accattivante che gli allievi entravano cantando; quel giorno poi c’era una piccola festa, in onore del Pane Carasau, e tutti sorridevano.

Il principe di questo regno, era un giovane maestro guerriero, dai capelli corvini e gli occhi lucenti come acini d’uva, maturati sotto il sole ardente della sua fiera terra di Sardegna. E siccome il principe era famoso per la sua bellezza, non aveva certamente faticato a trovare, come compagna e maestra del regno, la più graziosa delle fanciulle, anch’ella sarda. Aveva i capelli castani, gli occhi grandi e spalancati come finestre aperte, dove i suoi allievi, anche senza chiedere il permesso, facevano capolino per dialogare con la sua anima.

Ma ecco arrivare l’ospite d’onore della serata e la festa finalmente poté cominciare…

Quando tutti gli invitati furono seduti nei tatami, con la voce calma dall’ accento isolano, il vecchio Carasau iniziò il racconto della vita.

Demetra, che io considero mia madre, mi narra che fu lei a regalare il primo frumento agli uomini, dando loro la possibilità di mettermi al mondo, ma non mi ha mai svelato chi fu a darmi il nome che porto: pane. Il mio cognome invece è Carasau e sono “su pani fattu in domu”, quello che “prima ancora d’esistere è parte di un’idea che nasce coltivando, trebbiando, setacciando”. Da allora ho fatto tanta strada, e ormai sono conosciuto in tutta la penisola e in tante parti del mondo. In fondo, “il nostro unico grande libro, il grande libro dei sardi, su cui continuiamo a leggere la nostra storia e la nostra cultura” sono io, il pane! Sono stato descritto e raccontato da grandi scrittori e tramandato di madre in figlia; sono stato pane-compagno di pastori e bambini, sono stato abbigliato con lini pregiati e custodito in tascapani malconci, ma sempre rispettato e apprezzato. E a quante feste sono stato invitato: fidanzamenti, matrimoni, nascite…

E, il vecchio Carasau, instancabile, ancora raccontava…

Voglio descrivervi – ma non so se ne sono capace – il calore delle mani, e raccontarvi i bisbiglii delle donne mentre m’impastavano; donne sarde, fiere, energiche, infaticabili…

Le ore passavano, ma il tempo non era più là, con le parole che affascinavano i presenti.


Il libro, Il pane carasau. Storie e ricette di un’antica tradizione isolana, scritto da Antonella Serrenti e Susanna Trossero, edito dalla Graphe.it edizioni, è adesso beato! Il suo protagonista, il pane, ha ricevuto la giusta ricompensa per ogni pena sofferta, per ogni umiliazione subita, per un passato difficile e per tutta la povertà vissuta. Ormai contento, ha capito tutto il valore di questa inattesa felicità e di questo premio, racchiusi in una splendida serata in palestra!

Antonella Serrenti

Il pane carasau

Storie e ricette di un'antica tradizione isolana

editore: Graphe.it

pagine: 127

Il pane come alimento primario, simbolico, ospite d’onore delle giornate da custodire nella memoria…

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