Leggere a distanza di quasi quarant'anni il libro d'esordio di Enrico Testa, autore tra i più raffinati nel panorama della nostra poesia contemporanea, permette di coglierne tutte le peculiarità principali della sua poetica, diramatasi poi con gli anni verso altitudini sempre più sorgive e dinamiche. Peculiarità che fondono una visione scabra e netta della realtà a una vena più meditata, a tratti pungente, reazionaria, che attraversando il tempo e le sue epifanie sembra non faccia invecchiare questi versi e che, anzi, offra ancora spunti di riflessione sulla poetica dell'autore ligure così come, più in generale, sulle varie tensioni della possibilità della poesia di fine Novecento verso un concretismo dell'esistenza che corre anche il rischio di essere dissacrante, velatamente ilare e sardonico, senza rinunciare però al dettaglio più puro di un lirismo levigato, quasi mai aulico bensì riecheggiante di tutta una scuola di maestri, da Caproni a Luzi, da Sbarbaro a Sereni, che in Testa, fin da questo suo esordio, fanno da eco attraverso la voce autentica del poeta natio di Genova.
Se tutto questo non bastasse, rileggere Le faticose attese di Enrico Testa offre la possibilità, tanto ai suoi lettori più fedeli quanto a quelli nuovissimi, di ricalcare le origini del poeta mediante una lente di ingrandimento che offre non solo le sue primissime prove d'autore, ma anche le parole di uno dei maestri sopra citati, ovvero quel Giorgio Caproni che di questo libro ha scritto la generosa e importante introduzione, qui fedelmente riportata.
Una poesia, quella di Testa, figlia del vivere quotidiano che, di rimbalzo, si fa sorprendentemente universale giacché il sentire di ogni individuo attraversa il tempo, rigenerandosi di continuo grazie, anche, alle parole della poesia, che in definitiva sono le parole della nostra più vera coscienza.
Antonio Bux
Direttore collana “Le mancuspie”
Inserisci un commento