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Intervista a Massimo Moretti, nipote di Filiberto Mateldi e Brunetta Mateldi Moretti

Intervista a Massimo Moretti, nipote di Filiberto Mateldi e Brunetta Mateldi Moretti Intervista a Massimo Moretti, nipote di Filiberto Mateldi e Brunetta Mateldi Moretti
Intervista a Massimo Moretti, nipote di Filiberto Mateldi e Brunetta Mateldi Moretti

Paola Biribanti – autrice del saggio Il caso Filiberto Mateldi. Misteri, futurismi e immagini di un grande illustratore del Novecento – ha interviato Massimo Moretti copywriter e scrittore, nipote di Filiberto Mateldi e Brunetta Moretti coppia che ha lasciato il segno nel mondo della moda. 


Non ricordo esattamente l'anno in cui la figura di Brunetta ha iniziato a essere al centro delle mie ricerche. Parecchio tempo fa, comunque.

Brunetta Mateldi Moretti (Ivrea 1904-Milano 1989), conosciuta ai più come disegnatrice di moda e sottile umorista, è stata un'artista totale, capace non solo di sperimentare il disegno in tutte le sue declinazioni (illustrazioni per l'infanzia, figurini di moda, caricature...), ma anche e soprattutto di cercare e celebrare il bello in ogni aspetto della vita.

Lavoratrice instancabile e prolifica, ha lasciato impresse tracce indelebili della sua arte in un numero sterminato di riviste di moda, teatro, costume, sulle colonne di quotidiani, tra le pagine di libri per ragazzi, su manifesti pubblicitari e nei croquis delle maison più prestigiose, per cui trovare materiale su di lei non è stato difficile. La difficoltà vera è stata selezionare, tra i suoi lavori, quelli che potessero dare la misura di quanto e come abbia operato; a cui presto si aggiunta quella di rintracciare persone che l'avessero conosciuta, per completarne il ritratto nel modo più realistico e vivace.

Dall'unione di Brunetta con Filiberto Mateldi non sono nati figli, né si hanno, ufficialmente, notizie di parenti prossimi. Così, per raccogliere informazioni sulla persona, più che sul personaggio, sono dovuta ricorrere ai ricordi di suoi colleghi e amici. L'alternativa sarebbe stata provare a telefonare a tutti i Moretti di Torino e provincia, ma, data la diffusione del cognome, la strada è parsa da subito poco percorribile.

E, quindi, non ho trovato (né cercato) nessun parente. È stato il parente a trovare me, all'indomani dell'uscita della mia monografia (L'ironia è di moda. Brunetta Mateldi Moretti, artista eclettica dell'eleganza, Carocci 2018).

L'erede di Brunetta, che mi ha contattato causandomi sudori freddi e perduranti tacite riflessioni sul tema dove-ho-sbagliato, è Massimo Moretti, copywriter e scrittore, piemontese di origine, ma milanese da sempre e, soprattutto, persona collaborativa, generosa, schietta e ironica. Proprio come sua zia.

Brunetta Mateldi Moretti. Intervista al nipote della disegnatrice più francese d'Italia

 

Nel 1989, quando Brunetta è mancata, aveva trent'anni, per cui i suoi ricordi sono quelli di un adulto, nitidi e consapevoli.
La zia non era sicuramente una persona facile. Soprattutto era una donna molto diretta e sincera, anche nella capacità di offendere. Oltre all'ironia, quello che di lei mi ha sempre molto stupito è la grande, immensa curiosità in tutto. In quello che aveva a che fare con il mondo del vestire, in primis, ma curiosa di sapere le cose, in generale. Leggeva tantissimo, sia in italiano che in francese — era bilingue —, e anche in inglese.

Io frequentavo un liceo linguistico in centro, a Milano. E lei, senza sapere che io ero lì e che la vedevo, passava davanti e si fermava a guardare come le studentesse erano vestite e velocemente prendeva appunti sul taccuino.

Dal punto di vista del suo lavoro, è sempre stata, invece, molto timida. Cosa che l'ha portata spesso a essere fregata economicamente. Ha lavorato tantissimo, ogni minuto della sua esistenza vigile, ma era del tutto scollegata dalla consapevolezza economica e incapace di tenere a mente quello che faceva. Ad esempio, a casa sua cerano tutte le certificazioni dei compensi ricevuti, alcune ancora chiuse in busta... Era, sì, benestante, ma non come avrebbe potuto.

C'era, tra le sue opere, una che Brunetta considerava la preferita o la migliore che avesse mai realizzato? 
Le piaceva molto tutto quello che faceva. Era perfettamente consapevole della sua grandezza. E, per questo, a volte, era anche arrogante, apodittica, solipsista. Ricordo che una volta, mentre la portavamo in macchina a Torino, a trovare sua sorella, a un certo punto ci fece fermare. Accostammo, pensando chissà cosa fosse successo, e lei, guardando verso il sole disse: “Guarda questo tramonto, guarda questo rosso. Io lo farò meglio”.

Immagino che anche voi famigliari siate stati ritratti da lei...
Sì, tutti. Senza esclusione. Non sapeva stare ferma. Non posso dire che fosse un piacere andarla a trovare — sicuramente era un'esperienza —, perché non sapevi mai di che umore fosse. Se era in buona, ti faceva il ritratto, se era in cattiva, ti parlava mezzo in francese e mezzo in inglese e tu non ci capivi mente. Se uno andava da lei a chiacchierare... chiacchierare è un termine improprio. Se uno andava da lei ad ascoltare sentenze o sarcasmo, nel mentre, in un angolo del suo divano rosso, con il pennarello nero faceva disegni in continuazione, che poi buttava per terra. Era bello vederla disegnare, sembrava una linea unica, come se non staccasse mai la penna. Era tutto molto particolare. Aveva quello che in advertising si chiama il pensiero laterale. Fenomenologico, quasi. Sospendeva mentalmente l'oggetto, lo roteava e lo guardava da un altro punto di vista.

In famiglia siete mai stati tentati di farvi insegnare a disegnare da Brunetta?
I miei parenti sono tutti musicisti – lo sono da sette generazioni – e quindi avevano tutti il loro bel daffare. Ci ha provato la zia Rosinella [la sorella di Brunetta, nda]. Ricopiava i disegni di Brunetta e... si capiva subito dove era il talento e dove no. Se era di buon umore, la zia diceva che erano disegni bellissimi. Se no, li strappava e li buttava via. Ripeto, era un personaggio difficile, anche per questo suo essere così umorale.

Tra le opere che ha lasciato, quali sono quelle che prediligi?
I dipinti, perché sono i più rari, soprattutto i quattro che ho appesi in soggiorno. Sono cattivi, popolati da soggetti che hanno fatto un evidente grande uso del piacere, ormai spento, e, in tutti, c'è un elemento animale: il gatto, la volpe intorno al collo di una modella, la tigre su cui siedono due donne. In uno, dove si vede un gatto attaccato al seno di una donna, sono unite due costanti di mia zia: la donna fisicamente non perfetta, anche se giovane, e il gatto, tenuto come un bambino e con i denti in bella vista. È impressionante, in psicanalisi si direbbe un dipinto kleiniano.

Anche alcuni suoi disegni di moda sono spettacolarmente belli. Sapeva cogliere l'animo femminile. Ci si è soffermati tanto sui suoi vestiti e sulle sue caricature delle donne. In realtà, il vestito era solo un mezzo per ricoprire un suo interesse, che era il cambiamento delle donne nelle epoche. È su quei cambiamenti che gli altri hanno fatto i vestiti e che lei ha fatto anche la modista. Ma, in realtà, Brunetta ha sempre disegnato il femminile, dandogli un colore, una caratterizzazione, non necessariamente coincidente con il concetto di bello. Bello era l'essere donna. Il difetto non toglieva nulla alla peculiarità femminile. Anzi, la umanizzava divinizzandola.

Questo neo di specialità è in ogni cosa che ha fatto, tranne che nei suoi disegni maschili. Ha disegnato pochissimi uomini. Non li considerava dei soggetti interessanti. Si vede che sono disegni svogliati, tirati via. Sono disegni... normali.

Brunetta, che ironizzava su tutto e che delle persone riusciva sempre a esaltare pregi e soprattutto difetti, ironizzava anche sulla sua statura fisica, decisamente al di sotto della media?
Non le importava assolutamente niente. Ad esempio, quando, da anziana, le facevamo notare che la schiena curva la rendeva ancora più piccola di quanto già non fosse, lei diceva: “Quale schiena curva?”. Sapeva di essere osannata per il suo lavoro e quindi il suo ego era pienamente gratificato.

Disegnatrice, pittrice, stilista, costumista, giornalista... Brunetta è stata tante cose. Lei come si definiva?
Artista. Anche se, essere indicata come giornalista le faceva piacere. Sicuramente, non disegnatrice di moda o di vestiti.

E come si sentiva, più piemontese o più milanese?
Era molto orgogliosa di essere piemontese e l'accento l'aveva mantenuto, nonostante vivesse a Milano da quando era giovane. Parlava sempre del Piemonte e poco di Milano e della milanesità.

Quando scriveva, i suoi testi erano coltissimi e pieni di citazioni, anche se si trattava di argomenti semplici. Parlarci com'era?
Semplice, nel senso di comprensibile. La sua era una cultura immensa, ma trattenuta, non ostentata, anche se citazioni o versi di poesie finivano spesso dentro i suoi discorsi. Per quanto riguarda la cultura di moda, poi, era enciclopedica. Dal modo di abbigliarsi nell'antica Grecia al merletto del Seicento, sapeva tutto. E poi era sempre attentissima al bello. Sempre e in ogni circostanza, anche gli ultimi tempi. In ospedale, più che per il male era depressa per lo squallore dell'ospedale stesso, per le lenzuola consumate... Quando l'andavamo a trovare e le chiedevamo come stesse, diceva: “Qui è tutto brutto...”

Note sono le descrizioni di Brunetta in prima fila durante le sfilate di moda, o durante gli eventi mondani. Molto meno, quelle nella vita di tutti i giorni. Cosa le piaceva mangiare, ad esempio? Qual era il suo rapporto con il cibo?
Indifferente. Mangiava il minimo indispensabile e sempre seduta in punta della sedia. Nella sua casa, in via Bagutta, da mangiare non cera niente. Il frigo era costantemente vuoto e, in cucina, ci sarà stato un piatto, forse due. Però c'erano dei bicchieri. Ed erano dei bicchieri bellissimi.

Tratto da Buduàr, anno 8, numero 58, febbraio-marzo 2019, pagine 78-82. Per gentile concessione dell'editore

Il caso Filiberto Mateldi

Misteri, futurismi e immagini di un grande illustratore del Novecento

di Paola Biribanti

editore: Graphe.it

pagine: 172

La prima monografia dedicata a uno dei massimi disegnatori italiani.

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