Ricordo come fosse ieri quella sera di nove anni fa quando mio figlio, allora quasi quindicenne, rientrando a casa dopo un'uscita a due (suo padre era a uno stage di aikidō) per la visione di un film, mi chiese di fermare la macchina al cancello esordendo con: “Mamma, ti devo parlare di una cosa importante”.
La cosa non mi stupì affatto, perché già da tempo avevo capito quale fosse il suo cruccio in quanto avevo compreso che doveva fare ancora i conti con la sua omosessualità e con la ricerca di se stesso. Dopo la confessione gli risposi che non c'era alcun problema. Allora lui mi guardò con quegli occhioni velati di lacrime di sollievo e ci abbracciammo forte.
Ora mi viene spontanea questa riflessione. Mio figlio, intorno al quale mio marito e io avevamo creato un ambiente favorevole al coming out, pur consapevole della nostra disponibilità, aveva avuto comunque una sorta di timore a “uscire fuori”. Cerco allora di immaginare la profonda sofferenza di tante persone LGBTQ+ che ancora devono vivere nel nascondimento, sapendo che il loro orientamento sessuale non verrà visto dai loro cari come una ricchezza, ma come una colpa, una vergogna e un abominio.
Tanti ragazzi/e LGBTQ+ hanno genitori che, ottenebrati da stereotipi e pregiudizi, non capiscono che la più grossa sofferenza per i loro figli è proprio il rifiuto di chi dovrebbe stare loro vicino sostenendoli e aiutandoli nel percorso di crescita sentimentale e sessuale, genitori che al coming out dei loro figli oppongono rifiuto, ricatti e silenzi.
Consapevole del fatto che, anche se tanti passi in avanti sono stati fatti, la nostra società è ancora profondamente omofoba e transfobica, ho una speranza per il futuro prossimo: che nelle famiglie avvenga il cambiamento che le porti a essere veramente accoglienti e amorevoli verso i propri figli LGTBQ+ creando un clima positivo che possa aiutare soprattutto i più giovani nella costruzione della propria identità e orientamento sentimentale-sessuale.
Barbara
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