Ci addentriamo oggi nel labirinto della letteratura dimenticata dalla quale ripeschiamo un nome a noi caro del quale ci siamo già occupati in passato: la contessa Lara, pseudonimo di Evelina Cattermole Mancini, per esplorare le sue poesie.
Se fosse vissuta oggi, parlando di lei potremmo affermare: anziché dirlo con un fiore, quello che aveva da dire lei lo disse con la poesia, perché per sua stessa ammissione iniziò giovanissima a verseggiare, prendendo spunto proprio dalla scrittura dei biglietti di auguri a corredo degli omaggi floreali che faceva a sua madre in ricorrenze quali il compleanno. Inoltre, se fosse vissuta oggi la sua vita, diciamo così, senza freni, non avrebbe suscitato troppo scandalo… oppure sì?
Cronaca di una morte idealizzata
Per analizzare la poetica della contessa Lara iniziamo dalla fine, cioè dalla sua morte, che lei – povera – aveva idealizzato esprimendo in qualche modo le proprie volontà di come sarebbero dovuti essere i suoi ultimi momenti su questa Terra, mentre sappiamo che la realtà fu ben più crudele: Evelina, infatti (la chiamo così qui perché fu lei e non Lara, la vittima) fu una delle prime vittime note di femminicidio. Chi semina vento raccoglie tempesta, verrebbe da dire e, forse, non a torto, ma vediamo un po’ di entrare in argomento entrando nei suoi versi:
Nella sala da pranzo ampia e fiorita
d’antichi arazzi, il sol s’indugia un poco
in una lista d’oro scolorita,
mentre scoppietta nel camin il fuoco.
È un tramonto d’inverno. Ecco la vita.
Ecco quale vorrei che a poco a poco
mi fuggisse dagli occhi, scolorita;
mentre in una quiete ampia e fiorita
gli ultimi sprazzi ancòr mandasse il fuoco.
In questa poesia, intitolata Impressione, la poetessa prefigura quella che si augura sarà la sua morte e ovviamente ne ha una visione molto poetica, con la vita che fugge dagli occhi in un tramonto invernale al caldo di un camino acceso… purtroppo la violenza e l’imprevedibilità di quello che sarà nella realtà non restituirà una fine altrettanto auspicabile, ma c’è comunque da notare che la morte brutale è un punto in comune che hanno l’autrice e le eroine uscite dalla sua penna.
Una vita tra le rime
La sua poesia, lo sappiamo, ricevette critiche feroci quando non addirittura stroncature dagli esperti suoi contemporanei che l’accusavano di non produrre letteratura bensì qualcosa di solo vagamente somigliante ad essa. Il motivo era che i suoi versi venivano giudicati puerili perché si nutrivano di tutte le piccole cose che tutti possono sperimentare nella quotidianità: un fiore che sboccia, un abbraccio, la fiamma che scoppietta nel camino… probabilmente questa la croce e la delizia della sua poetica. D’altronde c’è da dire che la poesia era l’unica cosa di cui Lara non potesse fare a meno, che le forniva identità e legittimazione d’esistenza, allo stesso modo in cui l’amore lo era per Evelina.
Ecco, dunque, alcuni componimenti sull’importanza vitale della poesia.
Da Desiderio:
O povere mie carte, e resterete
con secchi fiori e ciocche di capelli,
rinchiuse entro uno stipo, in fra segrete
ricordanze de’ miei giorni più belli!
Da Dama Poeta:
Ella ride spogliandosi a lo specchio,
e sorseggia il thé verde lentamente
da una tazzetta di Giappone vecchio;
Poi de la scrivania sopra le carte
chinato il picciol capo intelligente,
donna non sol ma torna musa a l’arte.
Incredibile e insieme inquietante come appaia la difficoltà di essere due persone: donna con tutto quello che ciò significava, e insieme artista, e quanto questo sia purtroppo di attualità ancora oggi. Chiudiamo in bellezza, come sempre, con l’amore, che la fa – ahinoi – tornare semplicemente donna, a scapito dell’artista:
Poi torna allegro, m’accarezza il viso,
e mi domanda se son stata buona,
senza nemmeno sospettar che ho pianto. (da: Di sera)
oppure
Io, l’armi antiche e i quadri, onde coperte
son le mura, contemplo; e penso intanto
qual tesoro di baci ho già perduto. (da: Aspettando)
Inserisci un commento