È con grande rispetto e soprattutto con grande umiltà che affronto oggi un percorso sdrucciolevole: quello che conduce alla scoperta – o riscoperta – del grande filosofo Benedetto Croce, “inventore” del neoidealismo ed esponente dello storicismo assoluto, ma soprattutto uno dei pensatori più influenti del Novecento italiano.
Vedremo come nel pensiero di Croce la questione del male presente nel mondo sarà accantonata quando non addirittura negata, eppure con il male, il nostro entrerà in contatto molto presto: a 17 anni, nel terremoto di Ischia del 1883, perde entrambi i genitori e assieme al fratello sarà affidato alla tutela del cugino, nella cui casa entrerà in contatto con i primi intellettuali. In seguito lascerà Roma per tornare a Napoli, dove abiterà nella casa che era stata di Giambattista Vico, in qualche modo un predecessore del suo pensiero, quindi questa scelta aveva qualcosa di profetico.
Se dovessimo riassumere con un’unica espressione – e vi assicuro che non è facile – il pensiero di Benedetto Croce, questa sarebbe proprio “storicismo assoluto”. In pratica è la convinzione che tutto sia storia, che la tutta la realtà sia spirito e che questo sia inserito nella storia, all’interno della quale si dispiega per intero. La storia è la grande scienza, quella per eccellenza, mentre un brutto rapporto Croce lo ebbe con le scienze matematiche, considerate in un certo senso di serie B perché non in grado, a suo dire, di comprendere fino in fondo la realtà, ma capaci solo di spiegare “fenomeni minuti” e non “fenomeni universali”. Probabilmente si deve a questo suo rapporto conflittuale – data la grande influenza che Croce aveva nel panorama culturale italiano – l’ancora attuale orientamento pedagogico e scolastico italiano rivolto prevalentemente agli studi umanistici più che a quelli scientifici.
Le opere di Benedetto Croce si possono suddividere in tre periodi: quello degli studi storico-letterari; quello delle opere filosofiche sistematiche della maturità e quello dell’approfondimento della filosofia dello spirito in chiave storicistica secondo le definizioni che ho dato prima. Stando al nostro, sono fondamentalmente la razionalità e la libertà a emergere nella storia, mentre l’essere si può ricondurre al pensiero negando l’esistenza di una realtà fenomenica autonoma e indipendente dal soggetto. In altre parole, nulla ha senso se non viene inquadrato dalla lente della storia: prendiamo, ad esempio, la guerra. Se nel corso del primo conflitto mondiale la posizione di Croce restò sui toni della neutralità nel dibattito che si scatenò intorno all’interventismo; con il fascismo ebbe un rapporto inizialmente di fiducia che poi, con le leggi razziali e l’entrata nel secondo conflitto mondiale al fianco della Germania, mutò in vera e propria opposizione, che gli causò anche diverse spiacevoli conseguenze: lo definiva una “malattia morale”.
Già nel titolo di quest’opera datata 1942, è ben espresso il pensiero di Croce nei confronti della religione e specie di quella cattolica: qui, il nostro, ammette un’appartenenza che, però, non è confessionale, bensì culturale, tanto da definire il cristianesimo come una delle più grandi rivoluzioni che l’umanità abbia mai compiuto, addirittura il fondamento storico della civiltà occidentale. Ancora di più: la religione arriva a diventare un momento di realizzazione storica dello spirito. E questo dal punto di vista filosofico. Da un punto di vista politico, invece, pur non essendo mai arrivato a essere un anticlericale militante, era un convinto sostenitore della separazione tra Chiesa e Stato, tanto che si oppose anche strenuamente alla firma dei Patti Lateranensi nel 1929.
In questo ambito, Croce si muove all’interno del campo di ricerca delle motivazioni profonde dell’ispirazione artistica che riteneva tanto più valide quanto più poteva articolarsi tra le categorie del bello-brutto. In particolare, però, il Croce critico letterario fu tacciato di “dittatura intellettuale” in quanto le sue critiche, soprattutto da chi le considerava scorrette, vennero accusate di essere “pseudoconcetti”, cioè, per loro stessa natura, opinioni personali e non veri e propri canoni estetici, tanto è vero che fuori dai confini nazionali le novità letterarie che il nostro attaccava erano sempre più lodate. Per limitarci alla letteratura italiana, l’unico che Croce salvava era Giosuè Carducci; stroncature complete, invece, furono riservate alla poesia di Pascoli, Leopardi e D’Annunzio. Colpito da un ictus nel 1949, Croce si ritira in casa dedicandosi completamente allo studio, tanto da morire seduto alla sua scrivania nel 1953.
Foto | WikiCommons