Marguerite Yorcenaur, una delle più grandi intellettuali del nostro tempo, nel suo capolavoro Memorie di Adriano, scrive che “quasi tutto quello che gli uomini hanno detto di meglio, lo hanno detto in greco”. E le poesie di Kostantinos Kavafis, pur essendo solo 154 e pur essendo state scritte migliaia di anni dopo i grandi classici cui faceva riferimento, non fanno eccezione. E poi, a pensarci bene, è proprio vero: persino la Bibbia è scritta in greco! Anche per questo abbiamo scelto di presentarvi, oggi, il poeta con il suo nome originale e non con quello anglicizzato, benché probabilmente più noto, di Constantine P. Kavafy.
Tutto torna… ad Alessandria
Nato ad Alessandria d’Egitto nel 1863 da genitori greci, fa parte della comunità ellenica locale, che presto dovrà lasciare perché dopo la morte del padre la famiglia si trasferirà prima a Liverpool e poi a Londra, fino a tornare nella natia Alessandria nel 1879.
Allo scoppio delle rivolte nazionaliste del 1885, però, si muovono ancora, stabilendosi a Costantinopoli, ma Kostantinos non ce la fa: per lui il richiamo delle radici è troppo forte e dopo poco torna ad Alessandria definitivamente. Qui lavora prima come giornalista, poi come agente di borsa, finché approda al Ministero degli Esteri come interprete.
Il lavoro però non lo soddisfa e non lo soddisferà mai: e come potrebbe? Kostantinos è consapevole di averne bisogno per andare avanti, ma lo vive come una sottrazione quotidiana di tempo all’arte, l’unica attività che realmente lo interessa. La poesia, in particolare, è la musa che lo attrae perché scrivendo riesce ad attenuare i tormenti della sua anima, pur aumentando le frustrazioni per il poco tempo. Allora inizia a praticare il gioco d’azzardo, al livello professionistico, “cura” per le sue nevrosi e nuova cospicua fonte di guadagni.
Konstantinos Kavafis, ina vita in penombra
È schivo, Kostantinos, riservato fino a rasentare la maniacalità: lo immaginiamo come un abitudinario con una vita monotona e incolore. Eppure è anche dalle esperienze quotidiane, dallo pseudo nulla che i grandi sanno trarre versi bellissimi. Perché i poeti vedono là dove gli altri non vedono nulla.
Kostantinos inizia a scrivere molto presto, già in adolescenza, e sebbene quella fase fugace della vita che è la giovinezza lui la rimpiangerà in eterno, molti di quei primi versi li rinnegherà, facendoli perdere per sempre: perciò della sua produzione poetica ci resta molto poco: liriche pubblicate in proprio e fatte circolare tra gli amici, bozze e accenni incompiuti che pure raccontano molto di una personalità e di un’epoca.
Un cerchio che si chiude
Diamo un’occhiata alle date di nascita e morte del poeta: entrambe il 29 aprile. L’alfa e l’omega, il cerchio che si chiude. Ma in quei settant'anni di incertezza, paura di non essere compreso, segregazione addirittura a volte, di se stessi, della propria natura e delle proprie passioni, ci sono state anche luce e amore.
Già in adolescenza Kostantinos scopre la propria omosessualità, la sperimenta e cerca di interpretarla con gli strumenti che ha disposizione: la coscienza cristiana che lo rende infelice e inevitabilmente lo censura, e le origini pagane del suo popolo che avrebbe compreso, però, solo in tarda età. Per questo la maggior parte della sua vita (e della sua poetica) è segnata da una percezione tragica del destino umano e in particolare del proprio destino, che ci coglie, sorprendendoci sempre, sfiniti della lotta quotidiana. Questa visione rassegnata lo conduce a vedere la vita come riassumibile in un punto solo, quello in cui il piacere e la felicità coincidono, appunto, nella giovinezza.
Un punto che poi scappa via veloce e non si riesce ad afferrare mai più, se non con la memoria.
Foto | elaborazione grafica di Eugenia Paffile a partire da una foto di Kavafis.
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