Un cavallo a dondolo che diventa simbolo di equilibrio, speranza e legami familiari. Barbara Baffetti firma uno dei racconti di Sguardi di Natale, testo che dialoga con un classico di Emilio De Marchi del 1877 per esplorare il significato del Natale ieri e oggi.
In questa intervista, l'autrice ci accompagna nella genesi della storia di Giulia, una madre che lavora in un reparto oncologico e cerca il filo rosso che annoda le emozioni contrastanti della maternità. Tra ricordi personali, tradizioni familiari e riflessioni sul Natale contemporaneo, Baffetti costruisce una narrazione che non dimentica chi vive il dolore anche nei giorni di festa, ma guarda a tutto questo in un orizzonte di speranza. Madre di quattro figli, l'autrice condivide con noi anche il suo modo di custodire i riti natalizi, quelli ereditati e quelli creati insieme al marito, in uno scrigno di ricordi che sanno di affetti e che ogni anno si rinnova.
Barbara, come nasce la storia di Giulia e del cavallo a dondolo? C’è stato un momento, una scintilla, che ha dato avvio al racconto?
Ogni storia che scrivo nasce da qualcosa che riemerge nel cuore. Il Natale ha il sapore della vita che si affaccia al mondo e da madre so che spesso la maternità porta con sé sapori e umori contrastanti: paure, desideri, gioie, ma anche dubbi. Ho seguito questi pensieri e ho trovato in fondo a essi la storia di Giulia, una madre come tante di noi, che fa i conti con tutte queste emozioni e cerca il filo rosso che le annoda e anche il modo più giusto per comprenderle e viverle nella sua famiglia.
Giulia lavora in un reparto oncologico: una scelta forte. Che cosa volevi mettere in luce attraverso questa sua quotidianità così delicata?
Il reparto oncologico dove lavora Giulia è lo spaccato di un quotidiano che porta il suo carico di dolore anche nei giorni di festa. Ho voluto dare parola a chi vive quel dolore e al tempo stesso ricordarlo a quanti hanno la fortuna di pensare alle festività in modo più leggero. Spesso la corsa che accompagna il Natale ci fa dimenticare che ci sono situazioni che le feste non mettono in pausa. Ho voluto però rileggere tutto questo in un orizzonte di speranza, sottolineando come questa nasce dal sentirsi visti, dalla solidarietà, dall’attenzione che non lascia soli.
Il cavallo a dondolo, oggetto semplice e antico, diventa simbolo di un desiderio profondo. Come hai scelto proprio questo oggetto? E cosa rappresenta per te?
Tra i vari regali che ha ricevuto il mio primo figlio è stato un cavallo a dondolo che con il tempo e l’allargarsi della famiglia, è stato condiviso anche con sorella e fratello. È davvero un oggetto semplice e dal gusto antico. Io stessa ne gusto il fascino ogni volta che ne vedo uno. È un giocattolo che mi pare abbia la capacità tipica dei giochi antichi di richiamare mondi fantastici in cui trovarsi a “galoppare” e al tempo stesso dia la possibilità di sperimentarsi a trovare un equilibrio nel movimento. In fondo, penso che abbia il sapore della vita, fatta di onde da cui riemergere, sorridere e ripensarsi e per questo mi pare sia un po’ magico.
In apertura del libro c’è un racconto di Emilio De Marchi, scritto nel 1877. Ti ha colpito qualcosa di particolare in quella storia? C’è stato un passaggio, magari piccolo, che ha acceso in te la scintilla per iniziare a scrivere Un cavallo a dondolo per Natale?
Il racconto di De Marchi mi ha colpito nella sua interezza. Mi ha fatto sorridere e al tempo stesso mi è piaciuta la narrazione di una cura che gradualmente plasma le emozioni e gli affetti dei due protagonisti. Di certo dopo la sua lettura mi sono ancora più convinta che il tema del mio racconto dovesse avere a che vedere con questa dimensione del costruire le relazioni, i legami. Che non c’è nascita che non chieda una custodia e che non c’è custodia che non generi cambiamenti anche in chi custodisce. Una specie di circolo assolutamente virtuoso se si è capaci di non sottrarsene.
Il titolo della collana è Natale ieri e oggi. Qual è il tuo sguardo personale sul Natale di oggi? Come è cambiato nel tempo, anche per te?
Il Natale ha sempre rappresentato un momento essenzialmente familiare per me. Mi pare che nel tempo i cambiamenti culturali, che molto incidono sugli assetti e le dinamiche familiari, abbiano modificato anche la preparazione della festa. Rispetto ai miei Natali di bambina, ora il tempo dei preparativi rischia di venire fagocitato dalla corsa a cui ognuno di noi è sottoposto per lavoro o bisogni particolari. Il rischio è di arrivare alla meta sfiniti, stanchi di quelli che da riti affettivi diventano esigenze a cui è impossibile sottrarsi. Inoltre, penso che la solitudine di tanti, troppi, non faccia più così scalpore e che il familiare stia diventando sempre più piccolo così come il nostro modo di vivere il Natale. Eppure, sono certa che resta un antidoto a tutto questo ed è proprio in quel sapore di famiglia che torna con prepotenza nel cuore durante le feste e che credo non dobbiamo stancarci dal curare.
Da madre di quattro figli, com’è il Natale in casa vostra? Ci sono tradizioni familiari che ogni anno si rinnovano e che custodisci con particolare affetto?
Il Natale è fatto anche di ritualità. Così è stato per i Natali della mia infanzia dove mia nonna radunava tutta la famiglia e noi nipoti assistevamo ai riti di preparazione dei cibi tradizionali. Ne eravamo coinvolti ciascuno secondo le proprie capacità e nel fare insieme a lei, non solo si imparavano ricette, ma venivano condivise risate e aneddoti del passato. Quando ho formato la mia famiglia ho avuto bisogno di consolidare alcuni riti ereditati (direi soprattutto il ritrovarsi tutti insieme in forma allargata) ma ho anche voluto insieme a mio marito crearne di nuovi che fossero soltanto nostri. Così è per l’8 dicembre in cui ci si ritrova per fare albero e presepe (anche ora che qualche figlio studia e lavora lontano cerchiamo di radunarci), ma anche per alcune canzoni specifiche che accompagnano da sempre il risveglio natalizio. Insomma, uno scrigno di ricordi che vanno via via aumentando e che sanno di affetti.