In In ipsam arcem sapientiae Christum. Alle radici del pensiero di Paolino di Nola, la professoressa Maria Carolina Campone ci guida alla scoperta di un autore troppo spesso trascurato. Paolino di Nola emerge non solo come poeta raffinato, ma come pensatore capace di tessere un dialogo profondo tra filosofia pagana e fede cristiana. Campone, con rigore filologico e passione intellettuale, restituisce al Nolano il ruolo che gli spetta nella cultura tardoantica, in un momento storico segnato da profonde trasformazioni. L’autrice – docente di lingue classiche presso la Scuola Militare “Nunziatella” di Napoli e studiosa delle epoche di transizione – ci racconta la genesi di questo studio, il metodo seguito e le intuizioni che emergono dal confronto con una figura chiave della tarda antichità.
Alle radici del pensiero cristiano: intervista a Maria Carolina Campone
Cosa l'ha spinta a dedicarsi allo studio della storia, in particolare della figura di Paolino e del contesto tardoantico?
Il Tardoantico è un periodo complesso, in passato spesso trascurato dalla critica o ritenuto di minore importanza rispetto ad altri periodi storici. Negli ultimi decenni, invece, si è assistito a una vera e proprio “esplosione di tardoantico” (per usare un’espressione dello storico Andrea Giardina) che ha reso giustizia alle molteplici dinamiche di questa fase storica, in cui il cristianesimo agisce come forza destabilizzante.
In tale contesto si inserisce la figura estremamente moderna di Paolino, scrittore, poeta, letterato, ma anche politico, intento a proporre un nuovo modello di società riformata e rinnovata dall’interno. La sua capacità di trasformare elementi di crisi in punti di forza gettando le basi della cultura medioevale è un elemento che mi ha sempre colpito, unitamente al fatto che a lungo il Nolano è stato a torto considerato un “minore” a fronte di alcuni suoi illustri contemporanei, quali Agostino, Ambrogio, Girolamo.
Spesso i suoi studi si soffermano su momenti di transizione storica (la fine dell’Impero romano, i cambiamenti politici e culturali). Cosa la affascina di più di queste epoche di passaggio?
Le epoche di passaggio sono sempre epoche di crisi. Noi siamo abituati a dare un’accezione negativa al termine “crisi” che invece etimologicamente indica la capacità di giudizio propria dell’uomo. I periodi di transizione e passaggio sono sempre segnati da trasformazioni economiche, sociali, politiche, culturali indubbiamente drammatiche per molti versi, ma alla lunga foriere di dinamiche sociali inaspettate. Esse costituiscono un modello e una speranza per la società contemporanea, segnata da conflitti e rapide trasformazioni che generano ansie e criticità. Il mondo di Paolino è segnato da problemi che ciclicamente si ripropongono – rapporti tra Paesi del Mediterraneo, crollo di un sistema politico, contatti con popoli diversi, crisi economica – sicché nei suoi scritti si trovano riflessioni costantemente valide anche al di fuori dell’ambito religioso.
Come colloca Paolino all’interno del contesto storico e culturale del suo tempo? Quali trasformazioni profonde stava vivendo la società?
Paolino vive tra la fine del IV secolo e i primi decenni del V, un momento complesso, durante il quale il territorio dell’impero è interessato dalle invasioni barbariche, vere e proprie migrazioni di massa che misero a dura prova la compagine statale romana. Per far fronte a questa situazione si decise – a partire dal 376 – di accogliere entro i confini dell’impero alcune popolazioni straniere in qualità di foederati (alleati), onde ottenere un maggior gettito fiscale e nuove leve per il reclutamento, ma questa decisione doveva rivelarsi disastrosa. A frenare le invasioni di Visigoti, Vandali, Svevi, Burgundi, che ebbero gravissime ripercussioni sulla vita quotidiana delle popolazioni locali, non bastò neanche la divisione dell’impero in due parti formalizzata da Teodosio I. In tale quadro, il sacco di Roma da parte di Alarico fu un evento epocale, che impressionò fortemente i contemporanei e ispirò a Paolino una visione della storia fortemente innovativa e provvidenzialistica, quale viene delineata nel Carme 21.
Di fronte a tali eventi, mentre la Chiesa era dilaniata da eresie e correnti interne, Paolino trova un’alternativa all’assenza di un solido sistema statale, riformulando in chiave cristiana alcune soluzioni note già a Cicerone e Seneca. Fra queste il secessus in villam, una scelta di vita aristocratica, basata sul rifiuto dell’attività pubblica e sull’otium letterario. Paolino vi aggiunge una scelta radicale di povertà, che non implica la rinuncia totale alla ricchezza, ma l’utilizzo di questa a fini collettivi. La sua scelta non costituiva tuttavia, in quel periodo storico, un unicum, ma era condivisa da molti altri esponenti delle classi più agiate, sicché essa ebbe un effetto dirompente sugli sviluppi della società romana del V secolo. Come ho indicato nel volume Mens una, triplex vis. Paolino di Nola teologo (e) mistico (Graphe.it, 2021), Paolino è il rappresentante emblematico di un’aristocrazia ampiamente cristianizzata, che considerava emblematici, per il proprio status, l’umiltà e la povertà e che, profondendo i propri beni in opere caritatevoli, assestava un duro colpo all’economia statale, finendo col contribuire al collasso dell’impero.
Nel libro emerge la volontà di restituire a Paolino il suo posto nel dialogo tra filosofia, poesia e fede. Qual è, a suo avviso, l’aspetto più innovativo del suo contributo rispetto agli studi precedenti?
A lungo si è sottolineato, nel corpus di Paolino, l’importanza della sua poetica per la cultura cristiana delle origini e il tentativo di riutilizzare schemi e moduli classici conferendo loro un nuovo senso.
Si è invece trascurato il suo apporto alla teologia cristiana e alla costituzione di un paradigma filosofico che salvaguardasse contemporaneamente il pensiero pagano e il contenuto cristiano.
Tale atteggiamento è stato favorito in parte dal fatto che Paolino non compose mai voluminose opere dogmatiche ed esegetiche, come altri autori cristiani. Tuttavia, nella valutazione dei suoi scritti, occorre tener presente la finalità prettamente morale e filosofica che il genere epistolare aveva in epoca classica e che mantiene in età paleocristiana. Un’attenta analisi dei testi paoliniani non può che riscontrarvi una trama lessicale, semantica e ideologica che, riproponendo i grandi temi centrali nelle scuole filosofiche antiche, li consegna alla nascente cultura cristiana rivitalizzati dall’interno.
I testi di Paolino vanno analizzati senza preconcetti, tenendo conto non solo dei legami con gli autori cristiani, ma soprattutto della formazione dell’autore, avvenuta in un centro, Burdigala, e in una regione, l’Aquitania, divenuti, nel IV secolo, centrali nella politica imperiale. La scelta di Costantino di porre la capitale nelle Gallie prima della fondazione di una nuova città imperiale, implicava la creazione di un ceto dirigente la cui lealtà al sistema statale era garantita da una solida educazione retorica e formale, in cui la filosofia occupava un posto centrale. È da queste premesse che occorre partire per intendere l’opera di Paolino, senza tralasciare la complessità di un periodo in cui i confini fra cristiani e pagani, fra neoplatonismo e cristianesimo non erano sempre netti. Al riguardo, ho potuto dimostrare, nel corso della trattazione, i notevoli punti di contatto che il pensiero di Paolino rivela con autori coevi quali Calcidio e Marziano Capella, dei quali sappiamo ancora molto poco, ma che certamente affrontano temi e problemi comuni al Nolano.
In che modo “Mens una, triplex vis” si collega a “In ipsam arcem sapientiae Christum”? Ci sono temi o argomenti che si sovrappongono?
In ipsam arcem sapientiae Christum costituisce in un certo qual senso l’approfondimento di spunti e temi che, nell’altro libro, erano solo accennati. Mentre infatti Mens una… presentava Paolino dal punto di vista strettamente teologico e mistico, facendo tuttavia notare come le scelte del Nolano avessero una matrice schiettamente politica, questo secondo volume ne indaga la formazione e ne mette in luce una trama concettuale che affonda le sue radici nello stoicismo di Seneca e nella filosofia medio e neo platonica. Alcuni elementi che nel primo volume erano trattati velocemente – come, per esempio, una concezione medio e neo platonica della musica, intesa in chiave politica – nel secondo vengono illustrati approfonditamente, in maniera tale da consentire di riconoscere la fitta rete di relazioni anche con ambienti non propriamente cristiani che Paolino intratteneva e di restituire al Nolano il posto che gli spetta nella cultura tardoantica.
Paolino viene presentato come un ponte tra il mondo classico e quello cristiano. In quali passaggi della sua opera questa fusione risulta più evidente?
È l’intera opera di Paolino a dimostrare come egli rielabori la cultura classica in una chiave prettamente cristiana. Tuttavia la matrice classica dimostra come i suoi scritti non siano da prendere semplicisticamente alla lettera, ma come essi si inseriscano in un filone filosofico-letterario di risemantizzazione di contenuti apparentemente scontati.
Un esempio fra i tanti è l’accenno che Paolino fa nel Carme 21 alla ruota del destino, un topos letterario e filosofico, che tuttavia nella descrizione paoliniana presuppone il precedente di Seneca. Paolino dimostra di conoscere bene l’opera del Cordovano, che ripropone a più riprese nel suo epistolario, ribaltandone tuttavia il punto di vista, secondo un procedimento che segue anche nei confronti del pensiero platonico e di quello lucreziano. In tal modo, egli consegna ai secoli a venire sistemi filosofici alieni dalla visione cristiana, ma dotati di un nuovo contenuto. Se finora un tale procedimento era stato indicato in altri Padri della Chiesa, Paolino attendeva ancora uno studio che ne rilevasse l’importanza per la storia del pensiero occidentale.
Qual è stato il primo incontro, anche personale o emotivo, con la figura di Paolino di Nola?
Le basiliche di Cimitile, al cui sviluppo Paolino diede un decisivo impulso, costituiscono un elemento topico del paesaggio culturale campano. Ho avuto l’occasione di studiarle da vicino – e dunque di approfondire la figura di Paolino – in occasione delle Settimane della cultura scientifica e tecnologica del MIUR (XX-XXII edizione, 2010-2012) che Saverio Carillo, Professore di restauro architettonico presso l’Università della Campania, volle svolgere a Cimitile, trasformando le basiliche in un’occasione di laboratorio permanente per gli studenti di Architettura. È stato grazie a Saverio, mio compagno di vita e di studi, che ho avuto occasione di guardare a Paolino e alla sua opera in maniera più approfondita, dedicandogli due libri e una ricca serie di articoli su riviste scientifiche.
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