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Il talento di Cristina Annino: intervista a Pietro Roversi

Il talento di Cristina Annino: intervista a Pietro Roversi Il talento di Cristina Annino: intervista a Pietro Roversi
Il talento di Cristina Annino: intervista a Pietro Roversi

Nel corso dei millenni l’anima del poeta ha percorso i sentieri più impervi del mondo, mutato, di stagione in stagione, il suo abito, raccolto, innumerevoli volte, plettro e lira, in vista della sua sfida più grande e temibile: l’istante in cui la parola diventa freccia. Proiettile che lacera il vento. Moto interiore destinato ad andare - come una forza inarrestabile - controcorrente, offrendo, ai pochi che sanno prestarle attenzione, la visione o, se preferite, la verità poetica e umana dell’esistere. Di ciò che invariabilmente siamo o non siamo affatto.

Cristina Annino – di cui Graphe.it edizioni ripubblica, nella collana Le mancuspie diretta da Antonio Bux, l'opera L’udito cronico  – fa parte di questo gruppo di voci incarnate, come ampiamente, del resto, ci dimostra anche Il mestiere del poeta, uno scritto composto in occasione del convegno La poesia italiana negli anni Settanta e di cui offriamo qui la lettura [potete scaricarlo alla fine di questa intervista, cliccando sull'icona “scarica l'allegato”]. Uno strumento che, insieme alle parole di Pietro Roversi, ci aiuteranno a conoscerla più in profondità.

 

Cristina Annino nelle parole di Pietro Roversi


Il talento di Cristina Annino non sembra avere avuto l’attenzione che, in verità, avrebbe meritato. Come si spiega questa disattenzione per la sua opera poetica? Il suo non è del resto un caso isolato. Altri poeti di indubbio valore sono stati dimenticati o mai realmente accolti.

Io invece direi che il talento di Cristina Annino ha avuto l’attenzione che meritava, salvo che questa attenzione venne, è venuta e sta venendo solo da parte dei critici che il talento davvero lo riconoscono.

Rovescio l’affermazione nella domanda, e propongo di usare l’attenzione al lavoro di Cristina Annino come cartina di tornasole di fiuto critico: i critici che non se ne siano occupati hanno mancato un’opportunità. Gli editori che non l’hanno pubblicata, pure. Basti considerare la bibliografia critica della pagina di Wikipedia: l’elenco conta solo voci importanti ed eccellenti. Alcune delle lettere autografe di questi critici sono riprodotte in Magnificat (Puntoacapo, 2010); in particolare, la lettera di Franco Fortini recita: «Il procedimento e il ritmo e la perfetta logica dei suoi testi mi pare vincano per K.O. tecnico buona parte di quanto si legge intorno (ma Dio la scampi dagli entusiasmi dei critici)». Oggi, Davide Castiglione e Michele Ortore stanno curando un volume importante sull’opera di Cristina Annino che uscirà nel 2024 con Società Editrice Fiorentina. Il volume s’intitola: Vi lascio indietro col vento e costituirà il punto di partenza per il futuro degli studi anniniani. La fortuna critica di Cristina Annino è e sarà all’altezza del suo talento.

Se poi la domanda di fatto riguarda il canone della poesia italiana contemporanea, ricordo che La casa del folle è già in una collezione in rete di analisi testuali di poesia. Da qui alle antologie scolastiche e ai programmi ministeriali il passo potrebbe esser breve. E come pochi giorni prima di morire a Ostia Cristina Annino disse dal suo letto di morte ai suoi amici Krzysztof Mazurowski e Catia di Tomassi che la assistevano: “Io valgo più da morta che da viva”.

 

Se dovesse farci un ritratto di Cristina Annino, che tra l’altro è stata anche pittrice con diverse personali al suo attivo, quali colori, quali luci, ombre e chiaroscuri evocherebbe oggi sulla sua tela?

Cristina Annino stessa ci ha consegnato molteplici autoritratti, per iscritto, e in molti suoi dipinti. Il primo dei testi-autoritratto sta nella sua prima poesia pubblicata, in apertura di Non me lo dire non posso crederci (Techne, 1969): 

Sono magro di media statura
i capelli tagliati corti
nulla di inconsueto.

L’ultimo sta in “Siete qui a parlarmi di vento”, in Avatar, il libro uscito postumo a meno di un mese dalla sua morte:

Sono
stanco. 33 anni mi mantenne il padre, ho
finito le bombe, preso scalpi, mai stato
visto.

Direi che entrambi i testi (come gli altri testi-autoritratto dei 50 anni e passa che li separano) siano l’opposto del chiaroscuro e del colore. Brillano forse per mancanza di colore, coerenti con la dichiarazione: “L’intimo non mi va, e il lirico / mi spaventa”. Nei testi, il colore è digerito – come tutto il resto – in modo da non distrarre dalla realtà. Se ritorna, lo fa per associazione, per esempio nei nomi di pittori – onnipresenti nella sua opera: Cimabue, Dürer, Goya, Zurbarán, Manet, Picasso, Hopper, Casorati, etc. I dipinti invece hanno sempre il nero a far da contrappeso e da confine al colore. Ma sul tema del rapporto tra il poeta e il pittore vorremo leggere il bel saggio di Marcello Sessa “Nei riquadri smilzi dei corpi. L’opera di Cristina Annino tra parola e immagine“ nel volume critico di pubblicazione imminente che ho menzionato sopra. L'assenza di una accentuazione cromatica e tonale nei testi di Annino è stata giustamente rilevata da Anna Maria Farabbi.

 

Cristina Annino e Pietro Roversi in una foto del 2014

 

Cristina Annino amava usare un io al maschile. Una provocazione? Una necessità? O invece solo il semplice manifestarsi di una voce unica e assoluta che non divideva ma piuttosto univa in una circolarità che potremmo definire universale?

L’io maschile dei testi di Cristina non è né una scelta né un amore: piuttosto veicola al meglio la sua forza di poeta. Universale, circolare? Certo: riscatta il maschile generico che in italiano si usa quando si tratti di uomo e/o donna. È il maschile che trascende il sesso della persona. Non so se Cristina sarebbe stata d’accordo, ma grazie a questo io maschile, la grammatica diventa anche politica, come sempre nella migliore poesia.

 

Eugenio Montale amava dire che la poesia non deve elevare, ma rivelare ciò che non siamo. Secondo lei come si pone o dove si colloca la poesia di Cristina Annino rispetto a questo convincimento del celebre poeta italiano?

Cito qui da Il mestiere di poeta, una lezione che Cristina tenne a Siena il 26 giugno 1979 al convegno La poesia italiana degli anni settanta:

A questo, secondo me, deve guardare la poesia: a ricostruire, per quanto può, la totalità dell’individuo. Per cui, all'immagine distaccata del poeta creatore di parole e a quella demagogica del facchino di parole, va sostituita la certezza dell'uomo che umanizza, del poeta cioè che si fa orgoglioso portavoce di tutto ciò che è collettivamente umano. […] Alla poesia anche spetta di pronunciare i suoi no. Per far ciò, mi sembra ovvio, non può fuggire dalla vita verso il simbolo, a braccetto del fantasma culturale, né ripetere la menzogna dell'uomo come si vuole che appaia, cosa che fa la recente neoavanguardia. […] Per tornare, in conclusione, al ruolo della poesia negli anni '70, perché il mio discorso non rischi di sembrare velleitario o troppo ottimistico, vorrei precisare due cose: di essere consapevole che la poesia non può coprire l’intera ontologia dell'esistenza e che, slegata da un preciso contesto, la poesia non costituisce neppure un fatto culturale. Però sono convinta che è già risolvere qualcosa quando un meccanismo si mette in moto; che il valore di qualsiasi azione è la coscienza di tentare un cammino, anche se questo resterà incompleto; e che la poesia, come l'arte tutta, in quella parte in cui penetra, può concludere un suo proprio discorso. Perciò già tanto sarà ridare all'uomo anche la minima parte di sé stesso.

 

Foto | Roversi e Cristina Annino e Pietro Roversi in uno scatto del 2014 – courtesy: Pietro Roversi


 

L'autore: Giorgio Podestà
Giorgio Podestà Giorgio Podestà, nato in Emilia, si occupa di moda, traduzioni e interpretariato. Dopo la laurea in Lettere Moderne e un diploma presso un istituto di moda e design, ha intrapreso la carriera di fashion blogger, interprete simultaneo e traduttore (tra gli scrittori tradotti in lingua inglese anche il Premio Strega Ferdinando Camon). Appassionato di letteratura italiana, inglese e americana del secolo scorso, ha sempre scritto poesie, annotandole su quadernini che conserva gelosamente. Con Graphe.it ha pubblicato la raccolta poetica “E fu il giorno in cui abbaiarono rose al tuo sguardo”, i saggi “Breve storia dei capelli rossi” e “Come echi sull'acqua. Note a margine di un lettore appassionato” e ha curato la traduzione del saggio “Cristianesimo e poesia” di Dana Gioia.

Guarda tutti gli articoli scritti da Giorgio Podestà

L'udito cronico

di Cristina Annino

editore: Graphe.it

pagine: 48

Ne L’udito cronico, il canto della compianta autrice toscana si contraddistingue per la sua forza impersonale, eversiva, tinta di un sarcasmo pungente, mai banale.

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