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Vita e opere di Paolo Valera, l’ultimo scapigliato d’Italia

Vita e opere di Paolo Valera, l’ultimo scapigliato d’Italia Vita e opere di Paolo Valera, l’ultimo scapigliato d’Italia
Vita e opere di Paolo Valera, l’ultimo scapigliato d’Italia

Hanno pienamente ragione i molti che vorrebbero Paolo Valera rimesso al centro della scena della letteratura popolare italiana della seconda metà dell’Ottocento, ossia il posto che dovrebbe occupare, secondo merito e giustizia, “l’ultimo scapigliato d’Italia” definizione che ben si addice a questo coraggioso cantore degli ultimi che non ebbe paura né dell’esilio né della prigione pur di difendere le proprie idee. Sarà perché era nato in una famiglia proletaria da padre ambulante e madre sarta, o per quell’incontro così precoce con la violenza della guerra quando, neppure maggiorenne, militò tra le file dei garibaldini nella terza guerra d’indipendenza; tutto contribuì certamente a sviluppare in lui una coscienza sociale e politica che poi riverserà a scrosci sia nella sua produzione giornalistica che in quella letteraria.

 

La formazione politica

Nel 1866 la famiglia Valera si stabilisce nei Corpi Santi di Milano, quell’insieme di cascine di campagna e suburbi che allora circondava la grande città, fuori dal circuito delle mura spagnole. Basterebbe questo per capire dove affonderà le proprie radici l’interesse del futuro scrittore per le fasce di popolazione più basse. Contro corrente prima come essere umano che come autore, Valera milita per un po’ tra gli anarchici prima di iscriversi al partito socialista da cui viene espulso nel 1924 in seguito alla pubblicazione del saggio biografico Mussolini per il quale, se possibile, s’inimica chiunque: sia i fascisti che sopprimono il libro dal momento che al suo interno il loro capo viene descritto come un voltagabbana; sia il partito in seno al quale Valera nell’opera auspica che Mussolini torni. Ma lo scrittore è abituato a dare scandalo e già conosce il carcere: diseredato tra i diseredati, ultimo dei sovversivi, è oggi considerato degno esponente della seconda Scapigliatura, quella di stampo più marcatamente democratico, che poi abbandona per abbracciare il Verismo.  

 

Scrivere degli ultimi: prima della Milano da bere la Milano da… evitare

Paolo Valera inizia a farsi notare nel panorama giornalistico lombardo per la pubblicazione su varie riviste di alcuni reportage che nel 1879 riunisce in un’opera dal titolo Milano sconosciuta. È subito scandalo. Prima di allora, infatti, nessuno aveva mai descritto con tale conoscenza diretta e dovizia di particolari gli angoli più bui della città, quelli dai quali qualunque cittadino perbene fuggirebbe. I borghesi suoi contemporanei, infatti, non amano leggere sui giornali l’esistenza di bische, bordelli e luoghi d’incontro per omosessuali nella propria città, pur se nell’intimità, magari non solo li conoscono, ma addirittura li frequentano!

Anche la trilogia di romanzi usciti tra il 1881 e il 1884 – Gli scamiciati, Alla conquista del pane e Amori bestiali – sviluppano il racconto delle storie del sottoproletariato urbano, un tema, quello degli “studi sociali” come lui li chiamava, che ricorre anche nel romanzo La folla del 1901, considerato il suo capolavoro ed elogiato anche da Émile Zola.

 

Dal cellulare a Finalborgo

Da agitatore culturale e giornalista scomodo qual è, Paolo Valera conosce presto l’esperienza della prigione e dell’esilio. Nel 1888 rimane coinvolto nello scandalo di Emma Allis, l’ex amante di Vittorio Emanuele II, e viene condannato a tre anni di carcere; per questo motivo scappa all’estero e ripara a Londra, da cui tornerà solo dieci anni dopo per partecipare ai moti popolari poi repressi dal generale Bava Beccaris e in seguito ai quali, stavolta, qualche mese di galera gli tocca scontarlo. Ma andiamo con ordine, perché il racconto è singolare e da questo episodio scaturisce un’altra interessante opera di Valera, dal titolo Dal cellulare a Finalborgo, pubblicata tra il 1899 e il 1900, che può considerarsi il primo scritto-verità sul mondo del carcere, a metà tra il saggio e il romanzo autobiografico. Siamo nel 1898 e la repressione dei moti nel sangue causa l’arresto dei patrioti Filippo Turati, Carlo Romussi, Luigi Chiesi e don Davide Albertario. Valera non è nella lista, ma sente il suo stato di libero cittadino, confrontato con quello di detenzione di quelli che considera suoi sodali, profondamente ingiusto, così protesta talmente tanto che alla fine ottiene di essere arrestato anche lui. Il romanzo è dunque una sorta di immenso reportage del suo arresto da quando viene caricato sulla camionetta della polizia, fino all’arrivo nel carcere di Finalborgo, in Liguria, ricavato nel complesso monumentale di Santa Caterina, risalente al 1400. Qui, nel torrione centrale, sono state scavate una decina di celle particolarmente inospitali, anguste nelle dimensioni e con le finestre che impediscono ai prigionieri di vedere fuori, se non con gli occhi della mente.
 

Foto | elaborazione grafica di Eugenia Paffile a partire da una foto di Paolo Valera.


 

L'autore: Roberta Barbi
Roberta Barbi Roberta Barbi è nata e vive a Roma da 40 anni; da qualche anno in meno assieme al marito Paolo e ai figli, ancora piccoli, Irene e Stefano. Laureata in comunicazione e giornalista professionista appassionata di cucina, fotografia e viaggi, si è ritrovata da un po’ a lavorare per i media vaticani: attualmente è autrice e conduttrice de “I Cellanti”, un programma di approfondimento sul mondo del carcere in onda su Radio Vaticana Italia. Nel tempo libero (pochissimo) si diletta a scrivere racconti e si dedica alla lettura, al canto e al cake design; sempre più raramente allo shopping, ormai rigorosamente on line.

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pagine: 82

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