Ho già detto tante volte quanto sia bello riscoprire le scrittrici dimenticate e il privilegio di poterlo fare da queste pagine, ma stavolta il merito di aver riportato alla luce e sugli scaffali Maria Messina si deve a un altro gigante della letteratura, peraltro suo conterraneo: Leonardo Sciascia, che la definirà “una sorta di Katherine Mansfield siciliana”, per il realismo dei suoi racconti e l’interesse dimostrato per la quotidianità.
Le origini di Maria Messina, ovvero dove nasce l’interesse per gli ultimi
Maria nasce a Palermo da padre maestro elementare e madre proveniente da una famiglia baronale in cui – come si usava a quel tempo – aveva ricevuto un’educazione domestica, ma da autodidatta si era formata come scrittrice leggendo le opere del grande realismo russo suo contemporaneo. E così anche Maria diventa una scrittrice completamente autodidatta, che impara leggendo.
Dalla Sicilia, a causa del lavoro del padre, si trasferirà ad Ascoli Piceno, e qui la sua attenzione si sposta dal mondo contadino e rurale a quello più borghese ma in definitiva governato dalle stesse leggi, almeno per quanto riguarda la sottomissione femminile.
Vivrà per molto tempo anche a Napoli e soprattutto a Mistretta: è qui che la sua letteratura raggiunge i picchi più alti, proprio dove il concetto di paesino tagliato fuori dal mondo diventa metafora neanche troppo indecifrabile della prigione, almeno per chi possiede uno spirito libero.
Maria Messina morirà nel 1944 nelle campagne di Pistoia, dove era sfollata per sfuggire ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, fiaccata dalla sclerosi multipla che le avevano diagnosticato a 20 anni. Proprio la convivenza con una malattia incurabile costituirà un’altra spinta verso le tematiche degli ultimi.
Da Verga a Pirandello
Già dal suo esordio letterario avvenuto a soli 22 anni, Maria sarà notata dal mondo della letteratura e della critica che conta davvero: Antonio Borgese scriverà di lei, delle sue opere così pregevoli di cui esaltare la scrittura secca e lo stile minimalista; con Giovanni Verga, invece, sarà Maria stessa a intraprendere una fitta corrispondenza che durerà per quattro anni. Con Verga, almeno inizialmente, Maria condivide l’attenzione per il mondo dei semplici, perciò in un primo momento si può iscrivere la Messina nella corrente del Verismo, da cui si distaccherà in seguito per l’approfondimento psicologico che la farà accostare a un primo Pirandello – senza abbracciare di questo, però, l’elemento grottesco – fino a concentrarsi, infine, esclusivamente sull’indagine dell’animo femminile con il quale i colleghi uomini non si sono mai cimentati.
Le opere di Maria Messina tra novelle e romanzi
Per rendere pienamente giustizia alla poetica di Maria Messina, più che di opere si dovrebbe parlare di protagoniste: forti, belle, consapevoli, esili e indistruttibili pur nell’interpretazione di finali tragici e vicende senza speranza, perché questo è il messaggio senza appello comunicato dall’autrice, che la condizione di subalternità della donna è inevitabile e, come tutto nella storia, anche ciclica. Ecco quindi che s’incontrano, una dopo l’altra, Bobò di Rose Rosse, Pidda di Il pozzo e il professore, Camilla, le tre sorelle di Mandorle – Marianna, Angela e Bettina – Luciuzza, Caterina, le protagoniste di L’ideale infranto – Sofia, Carmelina e Lucietta – Marina di La veste color caffè.
Capisco, però, che tocca anche sistematizzare un po’, perciò eccovi accontentati.
L’esordio letterario di Maria avviene con la raccolta Pettini fini nel 1909, ma oggi potete trovare le novelle della Messina riunite in volumi unici.
Da non perdere sono sicuramente Casa paterna il cui nome è tutto un programma, ma anche L’ora che passa in cui si narra la vicenda umana di una maestra elementare che sacrifica tutta se stessa.
Incredibili anche i romanzi, da La casa nel vicolo in cui si fa strada il tema dell’emancipazione femminile eternamente anelato e altrettanto negato, ad Amore negato, dove l’ambientazione è cittadina e il contesto piccolo borghese ma le dinamiche le medesime, fino ad Alla deriva, in cui la donna è vinta tra i vinti, condannata come essere passivo e non pensante per l’eternità.
Il ritratto di Maria Messina è di Roberto Pasqua per Graphe.it edizioni
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