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La capanna dello zio Tom, capolavoro di Harriet Beecher Stowe

La capanna dello zio Tom, capolavoro di Harriet Beecher Stowe La capanna dello zio Tom, capolavoro di Harriet Beecher Stowe
La capanna dello zio Tom, capolavoro di Harriet Beecher Stowe

Tremila copie esaurite in una settimana, la prima di aprile del 1852, e poi giù, pagina dopo pagina, fino a venderne oltre trecentomila entro la fine dell’anno. Un successo clamoroso, quello di La capanna dello zio Tom, capolavoro di Harriet Beecher Stowe che divenne anche il manifesto della causa abolizionista nell’America del diciannovesimo secolo che consentiva di possedere schiavi.

Il romanzo, in realtà, prima di essere pubblicato in forma di libro, era già apparso a puntate su un giornale nel 1851, l’anno dopo la promulgazione della legge sugli schiavi fuggitivi che consentiva fossero riportati ai rispettivi padroni anche qualora catturati in uno degli Stati liberi. Questa legge iniqua, di fatto, fu d’ispirazione all’autrice nella stesura del romanzo.

 

Uno dei romanzi più venduti del XIX secolo

Se volessimo fare un riassunto della parabola letteraria di La capanna dello zio Tom, certamente dovremmo partire dal gran clamore che fece non tanto, inizialmente, per il suo valore artistico, ma per i temi che introduceva: insomma, quando un’opera si fa voce di chi non ce l’ha, in un periodo in cui la comunità è pronta ad ascoltare, beh, il gioco è fatto.

Nella vicenda, comunque, oltre alla condanna della schiavitù come forma estrema di segregazionismo razziale, emerge dirompente il tema dell’amore cristiano da cui scaturisce l’uguaglianza tra tutti gli uomini predicata da Gesù che prediligeva gli ultimi.

Dopo l’enorme successo ottenuto in patria, già alla fine del 1852 il libro apparve in quaranta edizioni in Inghilterra e si contavano le prime due traduzioni in Francia e Prussia, cui seguirono l’armena, l’araba, la malese e perfino la cinese, per un totale di circa una ventina di lingue diverse.

 

Inno all’abolizione della schiavitù

È questo, in definitiva, il significato per nulla velato della trama di La capanna dello zio Tom che in questo paragrafo vi raccontiamo nel dettaglio.

È la storia di Tom, uno schiavo che il padrone è costretto a vendere per improvvise ristrettezze economiche assieme a George, un bambino di soli cinque anni. Siamo nel Kentucy prima dell’abolizione dello schiavismo. George ce la fa a salvarsi dalla compravendita perché la madre riesce a farlo fuggire in Canada, mentre Tom, che ama il suo padrone e lo considera un giusto, resta e accetta il suo destino.

In viaggio a bordo di un piroscafo, Tom salva la vita alla piccola Eva, figlia di Augustine, che per riconoscenza nei sui confronti, decide di comprarlo, ma viene pugnalato prima che i documenti vengano firmati. Tom passa così nelle mani del crudele Simon, proprietario di una piantagione di cotone, il quale vorrebbe fare di lui un aguzzino dei suoi compagni, ma l’uomo si rifiuta perciò verrà ucciso.

Mentre si trova agonizzante, arriva George Shelby, il figlio del suo primo generoso padrone, ormai diventato adulto, che lo aveva cercato per mantenere la promessa di riscattarlo e donargli finalmente la libertà, ma sarà troppo tardi.

 

I personaggi di La capanna dello zio Tom

Lo zio Tom, braccio destro del padrone Arthur Shelby e protagonista della vicenda che dà il titolo all’opera, è un personaggio che incarna il Bene nel senso più cristiano del termine e di come lo intendeva nella sua poetica l’autrice.

Buono, fedele, docile, nonostante l’evidente sforzo della Beecher Stowe di farne l’incarnazione delle qualità positive, negli anni la critica letteraria l’ha interpretato in maniera diversa. Fra gli anni Trenta e Sessanta del Novecento, ad esempio – proprio quando negli Usa la questione razziale si faceva più spinosa – è arrivato addirittura ad assurgere a simbolo della deferenza degli afroamericani e della loro cultura nei confronti dei bianchi, tanto che proprio nella lingua inglese il termine “uncle’sTom” iniziò a indicare il “servo dei padroni”.

Altri detrattori si susseguirono, negli anni, ma con critiche molto più sfumate: secondo molti, ad esempio, si evinceva dalle pagine del romanzo che l’autrice non fosse mai stata al Sud e come tale non avesse saputo né caratterizzare bene la gente di laggiù, né farsi portavoce fino in fondo delle reali esigenze della popolazione di colore di cui non emergeva pienamente la situazione psicologica.

 

I film su La capanna dello zio Tom

Sul successo dell’opera, comunque, non si discute, e lo dimostrano i tantissimi tentativi di trasposizione cinematografica che seguirono.

La prima prova, di adattamento teatrale ovviamente parliamo vista l’epoca, è praticamente contemporanea all’uscita del libro e avvenne in Europa, all’insaputa dell’autrice stessa. Poi, con l’avvento della settima arte, si girarono i primi cortometraggi datati addirittura 1903 ad opera di Edwin Porter e Siegmund Lubin.

Si trattava di film muti, messi in scena utilizzando compagnie teatrali e per i personaggi di colore si usavano attori bianchi con la faccia completamente truccata secondo la tecnica poi nota come blackface.

Anche la Disney si cimentò con La capanna dello zio Tom realizzandone, nel 1933, il cortometraggio d’animazione omonimo, intitolato anche Il melodramma di Topolino.

Ci furono poi molti altri tentativi, in America ma non solo, tutti limitati, però, agli anni Venti-Trenta, poi, chissà come mai, si perse l’interesse intorno all’opera e neppure il cinema ci pensò più. L’ultimo “tentativo” risale al 1987 per la regia di Stan Lathan e vide come interpreti Kate Burton e Avery Brooks nei panni del protagonista. Il film però non ebbe il successo sperato.

Foto | Rare Book Division, The New York Public Library. "Cassy ministering to Uncle Tom after his whipping" The New York Public Library Digital Collections. 1851-1852.


L'autore: Roberta Barbi
Roberta Barbi Roberta Barbi è nata e vive a Roma da 40 anni; da qualche anno in meno assieme al marito Paolo e ai figli, ancora piccoli, Irene e Stefano. Laureata in comunicazione e giornalista professionista appassionata di cucina, fotografia e viaggi, si è ritrovata da un po’ a lavorare per i media vaticani: attualmente è autrice e conduttrice de “I Cellanti”, un programma di approfondimento sul mondo del carcere in onda su Radio Vaticana Italia. Nel tempo libero (pochissimo) si diletta a scrivere racconti e si dedica alla lettura, al canto e al cake design; sempre più raramente allo shopping, ormai rigorosamente on line.

Guarda tutti gli articoli scritti da Roberta Barbi

Natale nel Nuovo Mondo

di Harriet Beecher Stowe

editore: Graphe.it

pagine: 80

Il Natale nelle intense parole dell’autrice del celebre romanzo “La capanna dello zio Tom”.

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