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Giovanni Pascoli, vita e opere del grande poeta

Giovanni Pascoli, vita e opere del grande poeta Giovanni Pascoli, vita e opere del grande poeta
Giovanni Pascoli, vita e opere del grande poeta

Non vi stupirete se oggi vi dico che nell’affrontare il viaggio attraverso la vita e le opere di Giovanni Pascoli io provi un bel po’ di timore reverenziale per un poeta che ciclicamente mi sono ritrovata davanti sui libri della mia lunga carriera scolastica e che ho sempre considerato un mostro sacro della nostra letteratura. Oltre al timore di sbagliare, però, si aggiunge ora anche un sentimento di piacere nel riscoprire una figura come questa, e stavolta non per il dovere di un compito a casa nella speranza di strappare un bel voto, ma per la pura curiosità della riscoperta che, è l’augurio, spero mi e ci accompagni sempre.

 

L’assassinio del padre Ruggero

Non si può, in un pezzo che ambisca a raccontare la vita del Pascoli, tralasciare il triste episodio della morte violenta di suo padre, date le conseguenze a tutto tondo che questo fatto ebbe su di lui.

Ruggero Pascoli è amministratore della tenuta La Torre che i principi Torlonia hanno a San Mauro di Romagna (provincia di Forlì), oggi nota come San Mauro Pascoli. Sposato con Caterina Vincenzi Allocatelli, ha con lei dieci figli, di cui il futuro poeta, Giovanni, è il quarto.

Un giorno – è il 10 agosto 1867 –  mentre torna a casa in calesse da Cesena, viene assassinato da una fucilata sparata, per così dire, da ignoti. Il suo delitto infatti, destinato a rimanere insoluto per dirla con un termine moderno, desta non pochi sospetti e ha fatto gridare al complotto già molti suoi contemporanei. All’epoca, tra l’altro, il fratello maggiore Giacomo era assessore comunale e sia lui che i fratelli minori furono minacciati di morte.

Com’è come non è, la scomparsa del patriarca Pascoli si abbatte sulla famiglia come una scure portatrice di altri lutti e altre disgrazie: nel giro di meno di dieci anni a Giovanni muoiono la madre, una sorella e due fratelli; quel che resta della famiglia è costretta a lasciare la tenuta e versa ormai in precarie condizioni economiche.

 

Pascoli politico e Pascoli docente

Intanto Giovanni si laurea e inizia a insegnare, ma quando le due amate sorelle Ida e Maria escono dal convento agostiniano dove erano andate a studiare, gli chiedono aiuto. Così Giovanni, afflitto da un senso di colpa che non lo lascerà mai, inizia a fare qualcosa che non smetterà mai di fare: ridimensionare i propri progetti di vita per prendersi cura delle parenti. Neppure quando una delle due si sposerà. né quando lui diventerà docente universitario e come tale dovrà spostarsi in città, a Bologna, poi Messina e Pisa, riuscirà mai ad avere abbastanza forza per impegnarsi a coronare il suo sogno di farsi una famiglia propria, diversa da quella d’origine.

Nessun senso di colpa, al contrario, gli impedisce di coltivare un’altra passione: quella politica. Già dai tempi dell’università, grazie a un amico, si avvicina al movimento anarco-socialista e comincia a tenere comizi nella zona. Più tardi, dopo l’assassinio di Re Umberto, abbandonerà la militanza politica attiva per dedicarsi a un socialismo più moderato, di stampo spiccatamente umanitario.

Nel 1882 viene iniziato anche alla massoneria nella loggia Rizzoli di Bologna.

 

Il “mondo” di Castelvecchio

Il suo mestiere “itinerante” impedirà al Pascoli di mettere radici in un posto preciso, soprattutto nelle città in cui, per sua indole, non si ritrova affatto. Questo almeno fino al 1895 quando, con l’inseparabile sorella Maria, si trasferisce nel borgo di Castelvecchio, vicino Barga.

Con quella vecchia casa è amore a prima vista. Il contatto con una natura benigna e forse salvifica fa per un attimo immaginare a Giovanni di poter aspirare a una vita diversa, migliore, tanto da fidanzarsi con la cugina di Rimini, Imelde, addirittura all’insaputa della sorella Mariù. Quando, però, lei lo scoprirà, sarà una tragedia e proprio questa sua disperazione – che ancora una volta farà leva sul suo immotivato senso di colpa – assieme alle preoccupazioni economiche dovute alle continue richieste di denaro da parte dell’altra sorella Ida e del marito di lei, inducono ancora una volta Giovanni ad abbandonare i suoi sogni. Saranno proprio queste frustrazioni a portarlo nell’abisso dell’alcolismo che ne causerà la morte nel 1912, ufficialmente per tumore allo stomaco, ma ufficiosamente per cirrosi epatica.

 

Il fanciullino

Questo saggio apparso per la prima volta su una rivista letteraria nel 1897, teorizza e spiega meglio di qualunque altro la poetica di Pascoli, cioè l’ispirazione che lo ha elevato nell’empireo della poesia in lingua italiana. Qui Giovanni immagina, per ben venti capitoli, un dialogo con la propria anima di fanciullo, affermando che i tratti di purezza e candore tipici dei bambini possono sopravvivere nell’adulto solo sotto forma di poesia.

Il poeta, quindi, è una sorta di essere a metà strada tra il fanciullo e l’adulto, dato che conserva tratti della personalità di entrambi: guarda al mondo con stupore, è capace di meravigliarsi, scopre relazioni nascoste tra le cose e investe la realtà della propria immaginazione; al tempo stesso non è privo di razionalità e comunica verità sconosciute alla maggioranza in virtù di una sua sensibilità tutta speciale.

 

La grande proletaria si è mossa

Voglio citare, in chiusura, anche un’altra opera in prosa del Pascoli: si tratta di un testo tardo, risalente allo scoppio della guerra italo-turca. È La grande proletaria si è mossa, discorso sull’imperialismo pronunciato oralmente e successivamente messo per iscritto. È un’opera di ispirazione nazionalista, è vero, ma frutto dell’evoluzione delle sue utopie socialiste e patriottiche. Qui il poeta sostiene che la Libia sia parte dell’Italia irredenta e vagheggia per i contadini italiani nuove terre, una volta liberate dalla Turchia le popolazioni sottomesse. Siamo alla fine del 1911, appena sei mesi prima della sua scomparsa.

 

Foto | Elaborazione grafica di Eugenia Paffile a partire da una foto di Giovanni Pascoli


 

L'autore: Roberta Barbi
Roberta Barbi Roberta Barbi è nata e vive a Roma da 40 anni; da qualche anno in meno assieme al marito Paolo e ai figli, ancora piccoli, Irene e Stefano. Laureata in comunicazione e giornalista professionista appassionata di cucina, fotografia e viaggi, si è ritrovata da un po’ a lavorare per i media vaticani: attualmente è autrice e conduttrice de “I Cellanti”, un programma di approfondimento sul mondo del carcere in onda su Radio Vaticana Italia. Nel tempo libero (pochissimo) si diletta a scrivere racconti e si dedica alla lettura, al canto e al cake design; sempre più raramente allo shopping, ormai rigorosamente on line.

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editore: Graphe.it

pagine: 82

In qualunque epoca e condizione ci troviamo, l’atmosfera del Natale sarà sempre la stessa.

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