“La memoria è il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé”. Una frase celebre. Una delle tante uscite a getto continuo dal cappello magico di Oscar Wilde. Un abile prestigiatore di parole. Un fabbro (paradossale e raffinatissimo) di boutade spiritose e argute che, in uno spazio piccolo e breve, sono però puntualmente chiamate a svelare un’innegabile verità. Un distillato denso e profumato destinato a durare nel tempo e che non può non trasformarsi in un baluardo contro l’avanzare dell’oscurità. Dell’oblio. Del silenzio.
L’opera di Valentino Ronchi – dove spesso il ricordo ha un ruolo centrale (citiamo Buongiorno ragazzi, edito da Fazi nel 2019 e Ma tu l’hai letto “Il giovane Holden”?, la nuova silloge poetica in uscita in questi giorni presso Graphe.it edizioni nella collana Le mancuspie diretta da Antonio Bux) – ci appare allora quasi come una moderna sintesi di quella piccola ma indimenticabile frase.
La memoria ancora una volta (e come potrebbe mai essere altrimenti?) si compone e si scompone dentro noi, nel nostro mare segreto, come uno sciame misterioso. Una scia di boe galleggianti ma profondamente ancorate al fondo. Ora in piena luce, ora in ombra, ora apparentemente sommerse dalle onde o semplicemente dal fragore del vivere, ci segnalano i nostri io passati, i giorni ormai trascorsi, i volti e le mani appena sfiorati (perché questo è il nostro destino: sfiorare le anime senza mai toccarle davvero), mentre la nostra esistenza sembra in un modo nell’altro navigare a vista, magari tra le strade di una Milano periferica, sotto la neve di una Atene del tutto inaspettata, lontana da quel sole divoratore che, come in una cartolina di maniera, vorremmo invece dipingerle accanto o, ancora, in una piccola e mai dimenticata latteria di Bruzzano, dove qualcosa sembra essere ancora silenziosamente in attesa.
Ognuno, va da sé, ha la propria geografia del cuore (Milano o Timbuctù sono dopotutto il medesimo luogo), un bandolo di memorie a cui ci sorreggiamo, mentre, volenti o nolenti, ci inoltriamo per i misteriosi meandri che siamo stati chiamati ad attraversare.
La vita, voltandoci di scatto dalla nuova soglia su cui abbiamo distrattamente posato il piede, ci appare allora come un lungo ed eterno commiato. Un addio a quelle piccole, grandi cose che, soltanto fino a ieri, non sapevamo neppure di amare.
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