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Cristina Annino, poetessa tanto coraggiosa quanto ignorata

Cristina Annino, poetessa tanto coraggiosa quanto ignorata Cristina Annino, poetessa tanto coraggiosa quanto ignorata
Cristina Annino, poetessa tanto coraggiosa quanto ignorata

A volte capita, nella letteratura come in altri campi artistici, che una voce autorevole e talentuosa, capace di parlare trasversalmente alle diverse generazioni, resti lontano dai riflettori: vuoi perché troppo originale e quindi avanti rispetto ai tempi, vuoi perché “scomoda”, vuoi perché coraggiosa fino all’estremo convincimento di restare sempre fedele a se stessa, la conseguenza grave di ciò è, inevitabilmente, che pochi la ascolteranno. Purtroppo è un po’ quello che è accaduto a Cristina Annino – al secolo Fratini – poetessa toscana di Arezzo, classe 1941, scomparsa nel 2022 appena superati gli 80. 

 

La “monade” del Gruppo 70

Laureatasi a Firenze in Lettere moderne, una giovanissima Cristina decide di frequentare il Caffè Paszkowski, dove si riuniscono poeti e letterati aderenti al Gruppo 70, un’avanguardia fondata nel 1963 da Miccini e Pignotti, pur senza sposare mai interamente le loro istanze, ma restandone in qualche modo a latere. Queste influenze, però, la stimolano nel modo giusto, tanto che inizia a pubblicare nel 1969 con le edizioni Techne che danno alle stampe Non me lo dire, non posso crederci, mentre di dieci anni dopo è il suo primo romanzo, Boiter, uscito per Forum/Quinta generazione.

Arriveranno anche i successi, come il Premio Pozzale Luigi Russo vinto nel 1987 con Madrid o il Premio di poesia Lorenzo Montano, ricevuto per l’antologia di componimenti 1969-2009, ma sempre, come dire, in silenzio, fatto piuttosto singolare per uno che vive di parole. L’ultima opera, infine, appartiene alla poesia, immensa passione, s’intitola Avatar ed esce postuma nel marzo 2022.

 

L’importanza della famiglia

Pur essendo molto difficile individuare temi nella poesia ostinatamente ermetica della Annino, possiamo dire che quello della famiglia è spesso presente in maniera dirompente o sfumata nei suoi versi e si porta appresso tutte le sfaccettature del caso. “Ventotto anni ci mantiene il padre, poi caffè, libri, un brodo di solitudine. Ma più triste è spiegare ch’è il tuo, questo, modo giusto di stare al mondo. E devi farcela, col duro elastico della lingua…”, ad esempio, scrive in una lirica tratta da Magnificat. E poi c’è la figura della madre, con cui parla prima e dopo la morte, e quella del gemello deceduto al momento del parto, di cui lei sostiene di essere portavoce, forse per giustificare alcune prese di posizioni se non maschiliste certamente antifemministe, come quelle sull’amore.

Ed eccolo, l’altro tema immancabile, l’amore, che per Cristina Annino è sempre tormentato, pericoloso, violento e non potrebbe essere altrimenti, attratta com’è da uomini possessivi e machisti: un tipo di amore che si rende evidente nel romanzo Connivenza amorosa, pubblicato nel 2017 e pressoché ignorato – anche stavolta – dalla critica mainstream.

 

Una poesia orgogliosamente fuori dal tempo

Ci soffre Annino, per questa continua esclusione dall’élite letteraria, amaramente maldigerita al suo trasferimento a Roma, tanto da farle abbandonare per un po’ la scrittura per gettarsi furiosamente nella pittura. Ma, si sa, il primo amore non si scorda mai. Immaginiamo che la sua anima inquieta si sia alla fine placata, nutrita dal piacere di essere diversa e di non voler cambiare: non è una poetessa che interpreta il suo tempo, facendosi portavoce di tutti o di qualcuno; è piuttosto una letterata incastonata nella sua stessa vocazione letteraria, sofferta, chiusa, quasi ossessiva, che dal tempo e dalla sua epoca non si lascia attraversare: “La poesia bisogna odiarla, mica bisogna amarla”, ripeteva, senza far nulla per risultare più gradita o almeno più comprensibile, dritta come un fuso a parlare del suo “cane dei miracoli”, vivace e vitale nonostante le sue tre zampe, o dell’amata città di Madrid, rievocata nel periodo franchista, foriero di ordine, luce e pulizia. Parole semplici per acrobazie di pensiero.

 

Ritratto | © Roberto Pasqua per Graphe.it


 


 

L'autore: Roberta Barbi
Roberta Barbi Roberta Barbi è nata e vive a Roma da 40 anni; da qualche anno in meno assieme al marito Paolo e ai figli, ancora piccoli, Irene e Stefano. Laureata in comunicazione e giornalista professionista appassionata di cucina, fotografia e viaggi, si è ritrovata da un po’ a lavorare per i media vaticani: attualmente è autrice e conduttrice de “I Cellanti”, un programma di approfondimento sul mondo del carcere in onda su Radio Vaticana Italia. Nel tempo libero (pochissimo) si diletta a scrivere racconti e si dedica alla lettura, al canto e al cake design; sempre più raramente allo shopping, ormai rigorosamente on line.

Guarda tutti gli articoli scritti da Roberta Barbi

L'udito cronico

di Cristina Annino

editore: Graphe.it

pagine: 48

Ne L’udito cronico, il canto della compianta autrice toscana si contraddistingue per la sua forza impersonale, eversiva, tinta di un sarcasmo pungente, mai banale.

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