Leggere i versi di Gianfranco Lauretano – di cui Graphe.it edizioni ha appena pubblicato Questo spentoevo nella collana “Le mancuspie” diretta da Antonio Bux, raccolta in cui il poeta racchiude e incarna come un’essenza o un distillato voce ed echi di Giorgio Caproni – è ricordarsi, quasi all’improvviso, che ogni nostro viaggio, ogni nostra inaspettata partenza non ci porta necessariamente verso nuove terre, ma a guardare, piuttosto, le cose con altri occhi.
Uno sguardo pronto subito a moltiplicarsi. A scendere o a salire. A scorrere o sostare, avendo ogni volta l’impressione ferma eppure inarrestabile di trovarsi di fronte a una lunga serie di albe. Di inizi. Di avvii.
E il nostro veleggiare dentro uno spazio squisitamente interiore diventa allora (e come potrebbe essere altrimenti?) una navigazione dalle mille velocità e suggestioni. Ora ecco che procediamo beccheggiando in alto mare, ora fendendo spavaldamente le onde.
Un giro del mondo a più scali, durante il quale la rivelazione (perché essa in un modo o nell’altro ci deve essere, pena la vanificazione del viaggio stesso) ci sogguarda. Ci attende. Nasce in noi in un istante , mentre zigzagando o a vele spiegate – l’Oceano è, di volta in volta, immenso e indomabile, generoso e terribile – ci inoltriamo nella vita. In quella sua geografia perennemente viva di contrasti, di consensi e dinieghi, di approdi e abbandoni.
Un espandersi mosso e variegato in cui ci riflettiamo disordinatamente, ancorandoci al moto. Alla corrente impetuosa, destinata a tagliare in due le acque. Ad aprire sentieri sotto la chiglia. Come marinai navigati o giovani mozzi alle prime armi, ci affidiamo, di giorno in giorno, al nostro istinto, al sole che si fa timone e vento, alle costellazioni che di notte fanno capolino sopra le nostre teste, dentro i nostri occhi sempre un po’ meravigliati. Sempre un po’ assetati. Sempre un po’spauriti.
Un lungo viaggio dove ognuno di noi è intento a raggiungere la propria Itaca. A toccare – in silenzio o con un grido – terra.
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