L’Imitazione di Cristo è uno dei libri più letti e tradotti della tradizione cristiana, secondo solo alla Bibbia per diffusione. Composto tra il XIII e il XIV secolo e a lungo attribuito a Tommaso da Kempis o a Jean Gerson, oggi viene ritenuto dai più opera del piemontese Giovanni Gerseno (che fu abate del monastero benedettino di Vercelli tra il 1224 e il 1240).
Il trattato si presenta scandito in quattro libri: brevi e densi, scritti in un latino semplice e accessibile, quasi colloquiale. Essi contengono: ammonizioni utili per la vita spirituale, con il chiaro invito a distaccarsi dalle vanità del mondo e a cercare la verità interiore; suggerimenti su come condurre una vita all’insegna di una autentica religiosità, basata sulla meditazione, sulla lettura delle Scritture, e non da ultimo sull’umiltà. Il testo è altresì organizzato come un dialogo tra Cristo e il discepolo; al centro vi è la sottolineatura della piena fiducia nella grazia divina.
Ovviamente il filo conduttore è il richiamo costante all’imitazione di Cristo, ma non come mera ripetizione esteriore delle sue azioni, ma come assimilazione interiore dei suoi atteggiamenti: umiltà, pazienza, carità. L’imitazione è dunque un cammino spirituale, non un mero esercizio intellettuale. Quindi il senso profondo dell’opera si colloca nell’orizzonte della devotio moderna: vivere la fede non attraverso dispute dottrinali o grandi visioni teologiche, ma mediante una pratica quotidiana di raccoglimento e di carità. La scrittura di Gerseno è diretta, concreta, spesso parenetica: non intende proporre sistemi di pensiero, bensì parole che guidino la coscienza a una trasformazione reale. In questo senso, l’opera fu ed è ancora percepita come un vero e proprio manuale di vita spirituale, accessibile a monaci, chierici e laici.
Fin dalla sua composizione, l’opera conobbe una enorme diffusione: moltissimi manoscritti medievali la fecero ben presto circolare un po’ in tutta quanta l’Europa, e con l’invenzione della stampa essa divenne uno dei primi best-seller. Tradotta in quasi tutte le lingue principali, ebbe lettori illustri come Ignazio di Loyola, Teresa d’Avila, Tommaso Moro, Pascal; ma anche laici che cercavano nella devozione cristiana un nutrimento personale. Nel mondo cattolico, inoltre, essa ha avuto una funzione formativa costante, accompagnando generazioni di religiosi e laici nella loro pratica quotidiana. Tuttavia, anche nel contesto protestante l’opera fu letta con interesse, grazie al suo tono sobrio, poco legato a questioni dogmatiche e molto centrato sul Vangelo vissuto. Nei secoli moderni, la sua influenza si è fatta sentire ben oltre gli ambienti confessionali: filosofi, scrittori e pensatori laici ne hanno apprezzato la profondità esistenziale e la radicalità etica. Goethe, per esempio, la considerava un testo di sapienza universale.
Oggi l’Imitazione di Cristo continua a essere ripubblicata e letta ovunque. Il suo linguaggio, pur appartenente a quello medioevale, mantiene una freschezza e una forza spirituale che parlano ancora al lettore contemporaneo.
Il messaggio centrale – l’invito a una vita interiore autentica, radicata nella carità e libera dall’egoismo – conserva una sorprendente attualità in un mondo dominato dall’egocentrismo, dalla banalità e dall’inquietudine.
In definitiva, questo libro rimane e rimarrà un classico della spiritualità cristiana, non solo per la sua diffusione storica, ma perché sa rivolgersi all’esperienza umana a livello generale: bisognosa com’è di pace interiore, di significato, di vero amore. Essa non propone un sapere astratto, si diceva, ma un cammino concreto, dove l’imitazione non è vista certo quale semplice adeguazione a un modello ideale, bensì come una trasformazione del cuore a seguito della fedeltà agli insegnamenti propostici da Gesù.
Francesco Roat
Foto | Museo nazionale d'arte della Catalogna, Public domain, da Wikimedia Commons