Nel 1565, l’assedio di Malta da parte dell’Impero Ottomano fu un evento che segnò in modo profondo la storia del Mediterraneo. A guidare la difesa dell’isola fu Jehan de Valette, Gran Maestro dell’Ordine di San Giovanni, figura che sarebbe diventata leggendaria non solo per il valore militare dimostrato, ma anche per aver fondato la città di La Valletta, nuova capitale e simbolo di resistenza. A questa personalità centrale della storia maltese è dedicato il saggio Jehan de Valette. L’eroe dell’assedio di Malta e il fondatore de La Valletta, scritto dallo storico Carmel Cassar.
Il libro, recentemente pubblicato in italiano da Graphe.it edizioni, è stato tradotto da Carla Del Zotto, germanista e filologa nota per i suoi studi sulla letteratura medievale nordica e già autrice di numerose pubblicazioni. Con la sua esperienza, Del Zotto ha restituito in italiano l’intensità storica e culturale di un testo che si muove tra rigore accademico e narrazione coinvolgente.
L’abbiamo intervistata per conoscere il suo approccio al lavoro di traduzione, le sfide affrontate e il legame tra questo saggio e un altro titolo del medesimo autore, Cibo mediterraneo. Modi alimentari mediterranei: tendenze e sviluppi storici, da lei già tradotto in passato.
Le parole della traduttrice: Carla Del Zotto su Jehan de Valette
Quali sono state le principali sfide nel tradurre Jehan de Vallete in italiano? Ci sono stati aspetti particolarmente complessi da rendere nella nostra lingua?
Il libro Jehan de Vallete del prof. Carmelo Cassar offre una avvincente lettura di una pagina di storia dell’isola di Malta e delle potenze che si sono avvicendate per il controllo del Mediterraneo. E sul ruolo avuto da Malta in questo “mare tra le terre” emerge nel XVI secolo la figura di un presbitero francese, Jehan de Vallete (1494-1568), il quale, alla guida di quello che sarà poi chiamato l’Ordine dei Cavalieri di Malta, difende e salva una piccola isola, e non solo, dall’assedio della potenza ottomana.
Il libro ha un forte impianto storico. Quanto è stato necessario intervenire per rendere il testo accessibile senza perdere la precisione del linguaggio accademico?
Di particolare interesse è stato tradurre l’espressione maltese taqa’ Zorba, “Gerba cade” (nota 16, pp. 42, 52), propria della nautica antica dell’isola: due parole appena per indicare una grave situazione di pericolo, la mancanza di una via d’uscita, la sensazione di essere come inghiottiti dalle profondità marine. Gerba, com’è noto, è la più grande isola del Nordafrica, a sud-est della Tunisia. Contesa tra cristiani e arabi, governata da genovesi, spagnoli e corsari, Gerba fu teatro di una grande battaglia nel 1560. La flotta spagnola, assaltata di sorpresa dal pirata Dragut, perse trenta navi e cinquemila uomini, mentre la guarnigione dell’isola fu messa a morte. E con le ossa e i teschi degli uccisi i Turchi costruirono la piramide detta Borj al-Ruʾūs, ovvero “la torre delle teste”.
Jehan de Vallete, indubbiamente, comprendeva il linguaggio della guerra e sapeva rispondere a tono. Nel 1565, durante l’assedio di Malta, gli Ottomani espugnarono con fatica il forte Sant’Elmo, difeso da appena sessanta uomini. Mustafa Pascià, oltremodo furioso per il lungo tempo impiegato per la conquista di quell’avamposto, ordinò di mutilare i corpi di alcuni difensori, legarli alle travi e gettarli nel porto in modo che con la corrente risalissero lungo le mura di forte Sant’Angelo come monito ai Maltesi. Il Gran Maestro dell’Ordine, Jehan de Vallete, quando vide i cadaveri, decretò immediatamente la morte di tutti i prigionieri turchi e, dopo averli decapitati, fece sparare dai cannoni le loro teste verso le linee ottomane (pp. 69-70).
De Vallete, apparentemente, non teneva in gran conto i Maltesi, definiti – in una lettera al Viceré di Sicilia – come “un popolazzo di poco animo e di poco amore a la Religione”. In realtà, nel momento di massimo pericolo, la popolazione dell’isola diede un grandissimo esempio di coraggio e audacia combattendo contro gli Ottomani. E nel discorso di incitamento del Gran Maestro riappaiono le contrapposizioni storiche, religiose e culturali dei diversi popoli che si affacciano sul Mar Mediterraneo:
“non sapendo cosa dire per rassicurare il popolo, de Vallete disse pubblicamente che non si aspettava altro aiuto se non da Dio, che era il loro vero sostegno, e che fino ad allora li aveva preservati e di nuovo li avrebbe liberati dalle mani dei nemici della sua santa fede, e che si doveva riporre in Lui la fiducia [… ]A tutti chiese di ricordare che erano cristiani e stavano combattendo per la fede di Nostro Signore Gesù Cristo, per la vita e la libertà, e ciascuno doveva tenere ben a mente di non aspettarsi dai turchi più misericordia di quella che essi avevano riservato ai difensori di Sant’Elmo, ed egli sarebbe stato il primo ad affrontare tutti i pericoli”.
Ha già tradotto un altro libro del professor Cassar. C’è un filo conduttore che lega i due lavori dal punto di vista del linguaggio o della cultura maltese?
Il precedente libro del prof. Carmelo Cassar sulla cultura mediterranea del cibo affronta tematiche analoghe e in forma più “leggera” presenta la descrizione di una pluralità di culture, fedi e tradizioni appartenenti alla storia dell’antico Mare nostrum, crogiolo di civiltà millenarie.
Foto di Jehan de Valette | Hamelin de Guettelet, CC BY-SA 3.0, da Wikimedia Commons
Inserisci un commento