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Intervista a Michele Montorfano, autore di Tutto il cinema è Addio

Intervista a Michele Montorfano, autore di Tutto il cinema è Addio Intervista a Michele Montorfano, autore di Tutto il cinema è Addio
Intervista a Michele Montorfano, autore di Tutto il cinema è Addio

Tutto il cinema è Addio è il titolo del saggio di Michele Montorfano pubblicato nella collana Parva. Un testo in cui si guarda al cinema partendo da alcune domande: cosa succede in noi quando guardiamo un film? Perché la narrazione cinematografica è così intensa da toccarci molto da vicino? E ancora: cosa accade quando ci rechiamo fisicamente al cinema, prendiamo posto e aspettiamo che la proiezione cominci?

Michele Montorfano, studioso di cinema, pedagogia e filosofia nonché poeta (Mnemosyne, Lietocolle 2013) e traduttore, ci apre le porte delle sale cinematografiche anche attraverso il racconto di cinque film emblematici: Drive di Nicolas W. Refn; Casablanca di Michael Curtiz; Elephant di Gus Van Sant; The tree of life di Terrence Malick e 8 ½ di Federico Fellini.

 

Intervista a Michele Montorfano

 

Michele, parlaci degli addii…

Imprevisto, gelosamente custodito o una buia catastrofe, l’Addio congiunge l’ignoto con l’inaudito. Ci sono gli addii lunghi e grandiosi degli amanti che nell’abbraccio sterminato vogliono far franare la minaccia della separazione e ci sono quelli brevi, rancorosi, dove l’inerzia dell’abitudine fa deragliare l’istante nell’usura, nel volgare commercio dei sentimenti. Ci sono quelli miserabili, dove  alla tenerezza si sostituisce la furia barbara delle parole e l’amore avido, l’amore lacerato. Ci sono quelli silenziosi, con il braccio alzato e la mano aperta in un saluto, quelli ipocriti e in malafede che nascondono la vigliaccheria dei tranelli e la grammatica dell’ingiustizia. Ci sono quelli superflui, teatrali, in cui l’addio diventa quasi un mestiere e quelli scandalosi, con i lunghi baci appassionati o detti nel silenzio, come un perdono. Infine, ci sono gli addii ultimi, gli addii disperati, gli addii delle  esequie, della fine. Le modalità dell’Addio sono molteplici e disobbedienti a qualsiasi cliché ma in questa eloquenza appassionata, nella molteplicità delle situazioni in cui trovano forma, nelle lacrime  e nella lacerazione, proseguendo nel silenzio assordante della solitudine, scompaginano il tempo, mettono in disordine il nostro cuore confondendo i sentimenti, mescolano i ricordi e ogni parola diventa sempre la penultima avanzando così giorno dopo giorno, nell’agonia o nell’angoscia, nella rabbia o nella disperazione assoluta. Ma nell’imbroglio della confusione e nel tremore del dolore, nel suo luogo impervio, attraversato dall’ostile che rende nero il giorno e la luce notte, che getta nel panico della confusione i sentimenti, l’Addio è anche il luogo dell’occasione, dell’inaudito, della meravigliosa innocenza. L’addio è sconfinamento nell’impossibile come somma di tutti i possibili, è la vastità del: che tutto accada.

 

Quando è nata la tua passione per il cinema?

L’amore per il cinema è prima di tutto un amore familiare. Non perché la mia famiglia d’origine fosse appassionata di cinema ma perché andare al cinema era lo straordinario che sequestrava l’ordinario della vita. Ricordo ancora il primo film, ricordo la strada percorsa in macchina per arrivarci, come era vestita mia madre e il cappotto di mio padre mentre con un sorriso affabile comprava da una minuscola e fumosa biglietteria gli ingressi per tutti noi. Era un cinema secondario, nascosto dietro i palazzi della città e da cui si accedeva da una piccola discesa usata di giorno dai furgoni di un negozio di alimentari. Lo stupore era lì, la magia era lì, nascosti dal resto del mondo in uno spazio minuscolo che solo la notte poteva rendere illimitato. E poi gli odori della  sala, l’attimo in cui le luci si spensero e il nero cadde come un prodigio. Ricordo l’emozione durante il film, lo stupore e le lacrime in quella oscurità attraversata dai colori delle immagini, l’intimità strana e paradossale che solo il cinema regala. Questi ricordi e questo sentire sono rimasti  esatti e generosi nel tempo, facendo del cinema sempre una fuga gioiosa, un volare via dal mondo, una forza fondatrice di avvenire.

 

Nel tuo saggio analizzi alcuni film: perché proprio quelli?

Sono una parte dei film che ho amato nella vita o, più amichevolmente, si intrecciano con le costellazioni delle emozioni umane di cui desideravo parlare: l’amore e la tenerezza; l’irriducibile  distanza tra ambiguità e verità; la violenza che ignora il mondo che essa stessa violenta e che si esaurisce solo scatenandosi; l’ambivalenza del successo e del fallimento, così presenti nella nostra  società, ma qui visti con una parola cauta, rivolta verso l’interno e che designa l’impossibile pensiero centrale che non si lascia pensare; e infine l’ironia come un enigma da decifrare e la speranza che quest’enigma costituisce. Mi sono sembrati un diorama interessante per raccontare il cinema prima di tutto come umanità, quel luogo che si sbarazza di ciò che la ingombra per rendersi visibile.

 

Da poeta a saggista, passando per la traduzione: chi è Michele Montorfano?

Credo di essere una persona curiosa che ha trovato nella parola uno speciale entusiasmo e una tenerezza appassionata. Grazie alla scrittura, ricordo, indago, cerco tra i resti della mia vita, dei miei  sentimenti, tutta l’immensità svanente della notte dove la prossimità del remoto si concede solo nella lontananza. La parola ci dice che non appartiene alla possibilità; apre un interstizio attraverso il quale tutto ciò che è si lascia improvvisamente soverchiare e deporre da un sovrappiù che sfugge ed eccede. Parafrasando Bataille, la parola è un sovrappiù di vuoto che è il cuore infinito della passione del pensiero.

Tutto il cinema è Addio

di Michele Montorfano

editore: Graphe.it

pagine: 76

Il cinema tra fughe, angosce e ambiguità

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