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Kavafis e l'eredità dell'ellenismo: uno sguardo alla raccolta antologica "Non sono morti gli dèi"

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Kavafis e l'eredità dell'ellenismo: uno sguardo alla raccolta antologica "Non sono morti gli dèi"

Si tratta di una raccolta di sessantanove poesie composte da Kavafis, il cui contenuto si rifà all’antica storia e mitologia greca, a partire dai miti del ciclo troiano, così come sono stati trasmessi da Omero e dagli altri poeti dei Cicli epici, fino agli avvenimenti storici della tarda antichità.

L’obiettivo della raccolta è quello di mostrare il rapporto di Kavafis con il patrimonio storico e culturale dell’antichità ellenica. I sessantanove componimenti scelti seguono un ordine cronologico in armonia, non con l’anno in cui sono stati realizzati ma con l’evento mitico o storico di cui essi trattano, affinché il lettore possa pienamente comprendere non solo quali fossero gli argomenti e i periodi storici che più hanno attratto il poeta ma anche il modo in cui egli si sia a essi relazionato.

Il lavoro compiuto dal curatore Aldo Setaioli, Professore Emerito di Filologia classica presso l’Università di Perugia, risulta essere un’impresa innovativa e brillante e per questo particolarmente ben accolta: opera degna di rispetto, infatti, la raccolta offre un’interpretazione approfondita dei componimenti gettando la propria luce rivelatoria su significati fino a oggi sfuggiti all’attenzione di molti.

Kavafis, poeta molto letto e riconosciuto, può essere di diritto annoverato tra gli autori della letteratura mondiale essendo, per altro, il poeta più tradotto insieme a Fernando Pessoa e Jorge Luis Borges. Secondo una approssimativa ricerca emerge che 135 poeti di provenienze diverse abbiano composto poesie dedicate a Kavafis o ne abbiano imitato lo stile. Tra questi incontriamo grandi nomi dell’universo poetico come Brecht, Brodsky, Auden, Gatto, Luzi, Montale, Spaziani, Merrill, Herbert. 

Il fascino che il passato storico esercitava sul poeta alessandrino era viscerale. Esaminava con sguardo penetrativo e mente filosofica la psicologia, il pensiero e il comportamento dei personaggi e rifletteva su come un evento storico (una decisione politica o lo scoppio di una guerra) potesse impattare sulle vite dei capi ma soprattutto dei semplici esseri umani. Dava peso al dettaglio, a ciò, che apparentemente insignificante, veniva trascurato dagli storici ufficiali, suoi contemporanei. 

Ad esempio, nell’abbozzo poetico senza titolo (Schiavo e Servo), il poeta descrive un anziano servo presso la zecca, il quale con lo sguardo appannato dalla vecchiaia esamina attentamente le monete appena coniate giacché “Se di nuovo sbaglia verrà torturato/e gli tremano le mani/Sotto il regno di Severo la gente gioisce’’. Servendosi della sua sottile sebbene spietata ironia, Kavafis espone agli occhi del lettore le immagini contraddittorie di una realtà inesorabilmente segnata da povertà e servitù da un lato e di un benessere, mero frutto della politica propagandistica imperiale, dall’altro. Quando fu scritto l’abbozzo e cioè dopo il 01.04.1908, si era a conoscenza di un unico tipo di moneta (di Nicomedia), custodita nel Museo di Alessandria, nel catalogo individuato appunto dal poeta. Ci sarebbe da chiedersi quanti numismatici a lui contemporanei avessero riflettuto sulla sorte dei servi che lavoravano presso le antiche zecche.

“Molti poeti sono soltanto poeti…Non avrei mai potuto scrivere un romanzo o per il teatro. Sento però dentro di me 125 voci dirmi che potrei scrivere storia. Ma è tardi ormai” confessa il poeta verso il tramonto della sua vita. Aggiunge inoltre che “di regola i grandi poeti e scrittori hanno realizzato le loro opere migliori in giovane età, prima di invecchiare. Io sono il poeta della vecchiaia. Gli eventi più recenti non mi ispirano subito. Occorre che passi prima del tempo. In seguito, ricordandoli, ne traggo ispirazione” (vedi G. Lechonitis, Kavafika autoscholia. Me eisagogiko simioma Timou Malanou, Athina 1977, pag. 19, 20 Kavafis. Autoriflessioni. Con nota introduttiva di Timo Malano).

È evidente come, con le poesie di contenuto storico come quelle comprese nella presente raccolta Non sono morti gli dèi, Kavafis abbia trattato di storia sociale passando da una dimensione sentimentale personale a quella collettiva e da una visione individuale a una universale. Attingendo agli antichi autori come Polibio, Livio, Plutarco, Dione  Cassio, alle collezioni epigrafiche e numismatiche, ai ritrovati papiri e agli studi storici, Kavafis si dedica soprattutto alla descrizione dei periodi ellenistico e romano. Si tratta di un periodo che parte cronologicamente da Alessandro Magno fino a Giuliano e che compie un percorso geografico dall’Italia meridionale fino all’India e dal Ponto Eusino fino all’Egitto. Appaiono nella sua opera personaggi politici, militari e personaggi appartenenti al mondo delle Arti e delle Lettere, di alta o di bassa estrazione sociale, colti e non (egemoni, ufficiali, grammatici, retori, sofisti, poeti, attori, musicisti, scultori, pittori, commercianti e schiavi). Si cambia di scena passando dagli spazi chiusi della sfera privata a quelli aperti pubblici (il mercato, teatri, biblioteche, laboratori artistici, cimiteri). 

Con lucidità e abilità registica, Kavafis, artista figurativo, descrive “la brulicante vita di una società peculiare” la quale non rinuncia al suo volto umano, alle passioni e alle emozioni. Dunque, la poesia diventa quasi una macchina del tempo letteraria che trasporta il lettore nelle società multiculturali degli antichi tempi ellenico romani e di quelli della più tarda antichità dove le identità (etniche, religiose ecc.) si amalgamano e si ridefiniscono. Il poeta crea uno specchio in cui l’età odierna si riflette su quella del passato e in cui i volti della contemporaneità si rispecchiano sulle maschere di eroi obsoleti, legittimando il detto tucidideo “finché la natura dell’uomo rimane inalterata”.

L’antichità di Kavafis funge da spazio teatrale in un dramma diacronico. È il dramma dell’amore fugace, della bellezza effimera dell’inarrestabile caducità. Tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, il poeta allestisce una scenografia in cui si muovono la violenza e la sete di potere, l’opportunismo politico, le speranze deluse e la superficialità degli ideali. Descrive uomini distrutti e riformatori bugiardi: non a caso, infatti, l’anno della morte di Kavafis (1933) coincide con l’ascesa al potere di Hitler in Europa.

Centosessanta anni dalla nascita di Kostantinos Kavafis e novanta anni dopo la sua morte il filologo classico Aldo Setaioli, onora con la sua meritevole opera il grande poeta alessandrino della modernità, offrendo a tutti, con questa sua raccolta, la possibilità di conoscere e apprezzare in maniera profonda e consapevole l’eccellente poesia di Kavafis.

Nell’essenziale Introduzione e nel Commento, l’autore ha riportato le informazioni più rilevanti perché il lettore possa comprendere senza impedimenti i componimenti della raccolta. Senza ridondanza e con magistrale pertinenza Setaioli rivela nell’Introduzione il nucleo di ciascuno dei sessanta nove componimenti. La traduzione è precisa e le brevi note, chiarificatrici.

In breve, l’accurata raccolta poetica di Aldo Setaioli rivela ciò che Kavafis aveva dichiarato sin dal 1911, ovvero che gli dei Greci non sono morti ma seguitano a percorrere le colline d’Ionia portando in dono quella grande tradizione culturale che è ancora viva e fertile per chi desidera conoscerla.

Dr. Alessandra Rozokoki
Direttrice di Ricerca presso l’Accademia di Atene

 

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