Non ho dubbi ad affermare che, se Giuseppe Gioachino Belli fosse attivo ai giorni d’oggi, sarebbe un rapper, un trapper o come diavolo si chiamano oggi gli esponenti di questa corrente musicale che si evolve – forse più nella forma che nella sostanza – alla velocità della luce. Come primo approccio a questa figura, però, pur consapevole dell’indiscutibile superiorità della sua produzione in dialetto, vorrei presentarvi il Belli scrittore di lingua e letteratura italiana, senza tralasciare alcuni particolari della sua vita che, come sempre accade per un artista, è spesso l’unica responsabile della sua poetica.
Pecunia non olet
Ebbene sì: se c’è un comune denominatore alle varie fasi della vita del Belli, fin dalla sua primissima infanzia, beh, è proprio la ricerca di denaro. Chi può biasimarlo, d’altronde? Ancora oggi, e per molti aspetti anche peggio, l’ansia di arrivare a fine mese è condivisa da tanti, ma quello che voglio dire qui è che a ben guardarne la sua biografia, per così dire, dall’alto, si vede che ai periodi di maggiore serenità da un punto di vista economico corrisponde una migliore produzione letteraria e viceversa. L’arcano è presto svelato: quando aveva meno soldi il poeta, per sopravvivere, doveva mettersi a lavorare e così aveva meno tempo per scrivere. Capita anche ai migliori.
La potenza della natura
È il 1805 quando il Belli, a soli 14 anni, scrive La Campagna, un poemetto dedicato alla bellezza della natura, forse un tema semplice per un ragazzo, ma poi, anche lì, dipende sempre da come lo si tratta. All’epoca Giuseppe aveva già perso il padre di tifo e stava per perdere la madre che nel frattempo si era risposata per dare ai figli un minimo di stabilità economica. Durò poco, però, tanto che dovette interrompere gli studi e mettersi a lavorare.
Nel frattempo scrisse pure Dissertazione intorno la natura e l’utilità delle voci, in cui man mano si discostava dal tema naturalistico per avvicinare quello delle conoscenze umane: questo saggio, infatti, è poco più che una sintesi ben fatta dell’opera di Condillac in cui si argomenta del linguaggio come elemento espressivo che fa da mediatore tra la sensazione e il pensiero, tra il mondo della percezione e quello della ragione. Non è né sarà l’unica opera di carattere scientifico di Belli, ma nessuna di queste avrà un grande valore divulgativo.
Il Belli italiano
Sposato più per convenienza – ancora una volta economica – che per amore, amante di una marchesina (sempre una donna ricca, ma guarda un po’), la sicurezza economica permette al Belli di dedicarsi alle lettere con la necessaria tranquillità finanziaria. Inizia a dedicarsi ai versi in forma di poemetti: le prime opere sono Lamentazioni con atmosfere notturne, e componimenti a imitazione del Cesarotti, come Battaglia celtica dal vago sapore epico, fino a La morte della morte, un poemetto in ottave dai toni, invece, decisamente scherzosi.
Importante per la sua formazione intellettuale e poetica, furono sia i numerosi viaggi in Italia che compì, sia l’ingresso nell’Accademia degli Elleni e poi nella parte secessionista denominata Accademia Tiberina tra le cui file militavano gli oppositori dell’Impero, filopapisti e liberisti. Dedicarsi per un po’ al teatro, per lo più traducendo drammi dal francese, gli valse l’ingresso nella ben più celebre Accademia dell’Arcadia di cui diventerà segretario e poi censore di molte opere fondamentali per la storia della letteratura, Shakespeare compreso.
Tutte queste opere e anche il resto della produzione in lingua italiana del poeta, dal 1975 sono pubblicati in tre volumi dal titolo Il Belli italiano che comprendono, tra gli altri, anche lo Zibaldone e vari scritti che testimoniano la profonda conoscenza della produzione sua contemporanea anche straniera.
Foto | Guarda la pagina per l'autore / Public domain
Inserisci un commento