Tutta la carriera letteraria di Cristina Annino, che ci ha accompagnato per oltre cinquant’anni, è sempre stata rigorosa nella sua veglia elettrica, e sorprende ancora oggi per la lungimiranza ritmica e prosodica che coinvolge direttamente il lettore, calamitandolo nell’attenzione del mondo e delle cose tramite l’enunciazione dell’avvenimento, che nella Annino non è mai mera cronaca, più concatenazione di possibili realtà, più configurazione di senso e mistero, più respiro che immagine, forse, anche se di immagine si nutre incessantemente ad incastri regolari formando un mosaico, una architettura plastica, mai fredda, che anche laddove “niente accade”, in realtà crea un movimento a raggiera che coinvolge tutti i sensi.
Per questo l’avvenimento della poesia nella Annino è il compimento della vita stessa che si riscrive attraverso l’occhio attento, clinico e guizzante della nostra, che è stata una figura autonoma e originale nel panorama della poesia contemporanea e una delle sue maggiori interpreti.
La poesia di Annino, difatti, attinge da sempre dalle arti visive (è stata anche originale pittrice) e diviene un preciso cesello meta-realistico, un patchwork del linguaggio in continua tensione.
Anche ne L'udito cronico tale fattore è evidente, come anche negli altri suoi precedenti lavori, sempre formatisi come veri e propri “quadri” verbali, dove un occhio/tinozza attinge dal nero le forme più sgargianti di un reale parallelo, ma aderente perfettamente alle cose, per mostrare l’essenza di queste nel loro interno più vivo.
Difficile trovare altri modelli, specie nel panorama più recente, che abbiano saputo coniugare così bene immagine, ossia senso, e ritmo, ossia respiro.
Una poesia pregna di modernismo, che esprime, dunque, un caos sonoro, una geometria ribelle, nel senso più illuminante e artistico, oltre ogni mera avanguardia, destinata a durare nel tempo.
Antonio Bux
Inserisci un commento