La poesia di Gianfranco Lauretano agisce per eversioni di senso e per sonorità limpide offrendo al lettore un verso asciutto, lineare ma allo stesso tempo denso di un nitore quanto mai necessario alla comunicazione, figlio di un linguaggio che poggia le sue solide basi su un messaggio sia evocativo, e dunque spirituale, che civile, e dunque umanistico.
Ciò che si sviluppa, in questa "crasi" letteraria, specie nella sua ultima opera che qui presentiamo, è la verosimiglianza del reale alla resilienza dello spirito, in una fusione tra elegia e provocazione che rende unica quest'esperienza poetica sempre in bilico tra l'omaggio (in questo caso a Giorgio Caproni) e la ricerca di un significato altro, di una cifra più aderente alla verità che spesso ci sovrasta ma non ci salva. E se da un lato il potere della lingua provoca l'esperienza del raccoglimento, dall'altro la necessità di testimoniare al prossimo il proprio smarrimento dinnanzi alla realtà è un sistema binario che la poesia di Lauretano ha fatto proprio e da cui si lascia governare.
Il risultato che ne consegue è una poesia fresca ma audace, che ha nei suoi picchi tutta la lezione novecentesca che però non disdegna il proprio presente, ridisegnandone le mappe interne e andando contro le mistificazioni di un tempo che sembra continuamente mettere a dura prova gli esseri più sensibili che lo abitano.
Antonio Bux
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