Per secoli e secoli la Chiesa fu la più grande mecenate della Storia. L’arte, nelle sue varie forme, divenne lo strumento con cui il cattolicesimo abbagliò perdutamente il mondo. Quelle moltitudini che, piene di speranza, le tumultuavano quotidianamente intorno. Esistenze incerte, ma ugualmente assetate di incanto e di bellezza, dove il richiamo sontuoso e magico dei simboli, il suono impareggiabile e incantatorio di inni e salmi aprivano porte sull’ignoto e sulla fede. Su Cristo e la sua sposa in Terra: la Chiesa.
Tuttavia questo profondissimo legame tra l’arte e la religione cristiana si è nel corso del tempo come spezzato, smarrendosi lungo la via. Il saggio del poeta americano Dana Gioia, Cristianesimo e poesia non solo analizza con acume i motivi di questa crisi, ma ne ripercorre le varie tappe, esortando la Chiesa e i suoi tanti fedeli sparsi per il mondo a riscoprire la grazia miracolosa della bellezza. La suggestione infinita e montante della poesia, il cui linguaggio – come un astro senza tempo o stagioni – ancora sfolgora e dura.
Intervista a Dana Gioia
In passato qualcuno ha chiamato la Chiesa “madre di santi e poeti”, ma da allora molte cose sono vistosamente cambiate. Cosa è accaduto?
Per 1400 anni il cristianesimo - e la Chiesa cattolica in particolare - è stato la matrice delle arti occidentali. Poi attorno al 1750 la sua influenza ha iniziato a erodersi. Oggi la Chiesa gioca un ruolo solo marginale nella cultura artistica. Questo è stato il cambiamento più significativo avvenuto nell’arte occidentale dopo il Rinascimento, quando si passò dal sacro al secolare.
Una delle cause principali di questo cambiamento fu una visione del mondo secolare e anti-cristiana incarnata dalla Rivoluzione francese. Essa non solo diede le mosse alle rivoluzioni e alle conseguenti riforme politiche, ma invase anche il campo della vita intellettuale. Meno consapevole fu il graduale abbandono delle arti da parte della Chiesa. Mentre essa in tale clima politico ostile si difendeva, le sue strategie divennero più intellettuali e ideologiche. L’arte sembrò essere meno importante della filosofia, della politica e dell’economia. La Chiesa dimenticò che molta gente vive l’esperienza della religione olisticamente e non analiticamente. Vi erano sì, degli artisti religiosi, ma trovarono scarso appoggio o supporto nella Chiesa stessa. Vi furono momenti di rinnovamento, come accade nel revival anglo cattolico (Waugh, Greene, Tolkien e Spark) e nei poeti ermetici de Il Frontespizio (Luzi, Bo, Betocchi), ma il trend a lungo termine era in costante declino.
Perché la Chiesa si è lasciata la poesia alle spalle?
La poesia è stato il primo grande campo di battaglia tra la cultura sacra e quella secolare. La poesia moderna ebbe inizio nel XIX secolo in Francia con Charles Baudelaire . Era un autore profondamente cattolico che si sentiva tagliato fuori dalla grazia divina e dalla salvezza, diventando così un satanista. Il suo esempio suggerisce come il cristianesimo fosse per l’artista un dilemma, non una soluzione.
Paul Verlaine e Arthur Rimbaud rifiutarono il cattolicesimo. Condussero vite dissolute e poi ebbero dei “ritorni sentimentali”. La riconciliazione di Rimbaud – bancarottiere, con una gamba amputata e assistito dalla pia sorella – sul letto di morte porta in scena un dramma in cui la fede arriva più per default che per scelta.
La battaglia tra cattolicesimo e secolarismo nella poesia francese sarebbe continuata nel nuovo secolo, con scetticismo e ateismo alla fine trionfanti.
In Inghilterra poeti romantici come William Blake e William Wordsworth si inventarono un credo non ortodosso e del tutto personale. Percy Shelley divenne il poeta ateo più importante dai tempi di Christopher Marlowe. Poeti vittoriani come Alfred Tennyson e Matthew Arnold fecero invece della lotta per la fede il loro soggetto centrale. I loro legami con il cristianesimo sembravano essere però motivati più dalla nostalgia che dalla ragione (c’erano tendenze parallele in America in poeti post-cristiani come Walt Whitman e Ralph Waldo Emerson.)
Due grandi eccezioni furono Gerard Manley Hopkins, divenuto dopo la conversione padre gesuita e fervente cattolico, ed Emily Dickinson, una cristiana visionaria la cui teologia sfida ogni facile definizione. Nessuno dei due poeti venne mai pubblicato in vita.
Entro la fine della Prima guerra mondiale, una nuova intesa spirituale emerse tra i maggiori poeti britannici e americani: essi erano smaccatamente atei oppure scettici. La maturità letteraria richiedeva una rottura con la religione. Il cristianesimo divenne terreno dei poeti minori, a meno che non vi si arrivasse attraverso un risveglio di mezza età di figure già affermate, come nel caso di T.S. Eliot e W.H. Auden o una conversione sul letto di morte (Wallace Stevens).
Lo scetticismo, l’ateismo e l’anti-cristianesimo permeano la cultura letteraria. È compito degli scrittori viventi riconnettere la poesia alla fede. Lo scopo non è quello di ristabilire una qualche perduta società cristiana; quella è una mera illusione sentimentale. L’obiettivo pare essere l'allargamento della cultura contemporanea, permettendo agli scrittori cristiani di essere uditi. E anche di ricatturare il senso metafisico della realtà che la tradizione cattolica ha portato nelle arti.
Non crede che la Chiesa dovrebbe incoraggiare un maggiore coinvolgimento nelle arti?
Certamente sì. Ma è improbabile che la Chiesa muti il proprio corso. È coinvolta in troppe altre problematiche, economiche, politiche e amministrative. Non presta all’arte una seria attenzione, se non per preservare il patrimonio culturale dei suoi famosi monumenti. Preti e vescovi sono chiamati a lavorare troppo, il clero è poco educato all’arte e non prova interesse nei suoi confronti. Se prenderà mai piede un cambiamento culturale, verrà dalla laicità. L’attuale revival della letteratura cattolica in America si è verificato fuori dalle gerarchie ecclesiastiche.
Cosa significa essere un artista cattolico oggi?
Dipende dall’artista; ce ne sono almeno tre tipologie. Nella prima rientrano coloro che credono e si concentrano su un soggetto sacro. Quel tipo di artista, per esempio compositori come Arvo Pärt o James MacMillan, è facile da comprendere. Nella seconda categoria ci sono quei credenti che non necessariamente impiegano soggetti religiosi, ma la cui visione spirituale informa tuttavia la loro opera. Registi come Martin Scorsese o Terrence Malick ne sono un esempio. Se la fede può essere, a volte, il soggetto di una loro opera, i loro film presentano per lo più storie secolari. Infine, ci sono i non credenti, spesso ex cristiani, che subiscono il fascino del soggetto sacro. Musica sacra moderna di grande valore è stata composta, per esempio, da Ralph Vaughan Williams, un agnostico.
Queste suddivisioni non sono incise nella pietra. Alcuni artisti, mentre si evolvono, passano da una categoria all’altra. Non avremmo certo considerato il giovane Francis Poulenc un grande compositore cattolico, ma dopo il suo Dialoghi delle Carmelitane, chi ne dubiterebbe?
Io stesso mi metto nella seconda categoria. Solo di rado ho fatto del sacro un soggetto manifesto della mia poesia e non ho mai considerato cristiano il pubblico a cui mi rivolgevo, ma la mia immaginazione è stata forgiata dal cattolicesimo. La sua visione del mondo permea ogni poesia che scrivo, la sua influenza non è né conscia né volontaria. A volte non ne vedo le connessioni per anni, ma esse sono sempre presenti.
“La vera poesia può comunicare prima di essere capita”: è d’accordo anche lei con le parole di T.S. Eliot?
Non solo sono d’accordo con Eliot, ma andrei persino oltre. Gran parte del significato della poesia è indiretto. È musicale, emotivo, intuitivo, fisico. Del contenuto intellettuale della poesia si può parlare con facilità, ma le parafrasi non è il motivo per cui diamo valore all’arte. Se avere un contenuto chiaro è l’obiettivo finale, perché non usare allora la prosa?
La poesia è una forma di incantamento. È un’arte sensuale e misteriosa – discorso che si alza di livello, fino a diventare canto. Ciò che rende la poesia una forma di letteratura potente e insostituibile è il fatto che cambia la nostra coscienza, ci consente di vivere le parti più profonde della nostra umanità.
Cosa pensa del futuro della poesia?
La poesia resterà importante fino a quando useremo le parole per descrivere la nostra esistenza. È la nostra forma di linguaggio più intensa, concisa e memorabile.
La poesia specialmente oggi ha un ruolo rilevante. La gente è passata dalla cultura stampata a quella elettronico-orale. La poesia si muove naturalmente in questo ambiente, perché l’arte ha avuto origine in una società pre-letteraria.
Diedi un assaggio di questa mia opinione trent’anni fa in Disappearing Ink: Poetry at the End of Print Culture. Nessuno mi credette, ma la Storia ha poi giustificato quella mia argomentazione. Sebbene la lettura letteraria in questi due ultimi decenni abbia subito un declino precipitoso, la poesia è invece cresciuta. Essa vive confortevolmente nella nuova cultura elettronico-orale, in un modo tale che né il romanzo, né il racconto riescono a fare.
La poesia è in America l’arte che cresce più velocemente. Il pubblico aumenta a tutti i livelli sia per età sia nei vari gruppi razziali. In questi ultimi vent’anni nel pubblico il numero di giovani adulti è duplicato, mentre in quasi tutte le altre forme d’arte il pubblico è diminuito.
Gli intellettuali letterati hanno mancato questa potente tendenza: essi non conoscono i dati degli studi su lettura e letteratura, raramente guardano oltre il loro campo di specializzazione, ignorano le tendenze della popolazione. Sarebbero irritati da questa nuova tipologia: tale crescita non ha nulla a che fare con l’università, è un fenomeno populista. Il nuovo pubblico non legge il tipo di poesia che i professori promuovono.
Ci sono libri o autori che l’hanno ispirata a diventare uno scrittore?
Sono stato innamorato dei libri sin dall’infanzia. Come molti ragazzi della mia generazione, ho iniziato con miti e leggende, storie d’avventure e libri di fantascienza. Una volta raggiunta l’adolescenza mi sono dedicato alla poesia e a romanzi più impegnati. Quasi nessuno di questi libri mi era assegnato dalla scuola: sono sempre stato un lettore auto-motivato.
Sono stato un adolescente introverso e un topo di biblioteca. I poeti che mi hanno parlato in modo più potente sono Dante, T.S. Eliot e W.H. Auden. Dapprima ho letto Dante in inglese e più tardi in italiano. La mia materia preferita era il latino (vede, come ero strano?). Amavo Catullo e Orazio.
Non ho mai formulato il progetto di diventare un poeta, ma a vent’anni ho compreso che era la mia vocazione. Successe all’improvviso, senza nessuna spiegazione. Non avevo idea di cosa significasse. Mi rivolsi ai poeti – non di persona, ma sulla pagina – per avere una guida.
Sono caduto sotto l’influenza di Ezra Pound: mi ha convinto che non si potesse padroneggiare la poesia conoscendo solo una lingua. Così ho studiato il tedesco per poter leggere Rainer Maria Rilke. Imparando l’italiano mi sono innamorato di Eugenio Montale, mentre ho studiato il francese per leggere Charles Baudelaire e Paul Valéry.
Per ogni momento della mia vita, ho trovato un poeta che mi accompagnasse. Il poeta di cui hai bisogno a vent’anni non è quello di cui necessiti quando ne hai quaranta o sessanta. Non è una questione di ispirazione, ma di compagnia vera.
Non solo li ascoltavo, ma conversavo e discutevo con loro. A loro porsi le domande sulla mia esistenza. Per me la poesia è stata una estensione della Comunione dei Santi, una comunità invisibile in cui chiunque abbia una vocazione poetica può entrare. Diversamente da molti poeti americani, non ho seguito corsi di scrittura creativa. Per me la poesia era un’impresa privata e personale. Ho letto, studiato, memorizzato le poesie che mi piacevano. C’è forse un modo migliore per imparare la propria arte?
Ho lavorato nel mondo degli affari per essere un poeta svincolato dall’università. Avevo due poeti come modelli: Eliot and Stevens. Essi mi dimostrarono che un poeta può avere una doppia vita. Lavoravo di giorno e scrivevo di notte. Robert Frost, che passò dieci duri anni facendo il fattore e pubblicò il suo primo libro a 39 anni, mi insegnò a essere paziente. Avevo bisogno di padroneggiare i ferri del mestiere privatamente senza cercare avalli esterni.
Come giovane poeta mi sentivo in acuto disaccordo con la poesia allora in voga che era principalmente biografica o a versi liberi di gusto surrealista. Attorno ai venticinque anni scoprii due poeti, Philip Larkin e Weldon Kees, che mi fornirono ciò di cui avevo bisogno: esempi indipendenti e che andavano contro quella tendenza. Entrambi sono poeti oscuri, versatili e divertenti in modo strano e misterioso. Scrivevano con la stessa facilità in versi liberi o secondo la tradizione più formale. Liberarono la mia immaginazione.
Ho risposto alla sua semplice domanda in modo complicato. So che voleva solamente un elenco. Ma non potevo ridurre la mia storia d’amore con la poesia, lunga tutta una vita, a una lista di preferenze.
Foto | ©StarBlack2015 - courtesy Dana Gioia
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